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Il Dolore e le scale di
misurazione
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Dott. Nicola Torina, infermiere di Sala Operatoria presso l’Ospedale Buccheri La Ferla FBF di Palermo
“Nulla è così facilmente
sopportabile come il dolore degli altri”
“Rochefoucauld”
Nello svolgimento della sua attività professionale l’infermiere si
confronta continuamente con il dolore dei pazienti. Un approccio cosciente e
consapevole dell’intensità e della natura del dolore può permettere di applicare
alcuni rimedi farmacologici e quindi di ridurre lo stato di grave disagio con
cui il paziente è tenuto a convivere.
Il dolore è un fenomeno complesso, difficilmente semplificabile.
A trasmettere al cervello la
sensazione del dolore, attraverso il midollo spinale, sono sensori cutanei -
chiamati ricettori - i quali percepiscono anche le sensazioni di caldo, freddo,
tatto, pressione. L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP)
propone di definire il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale
spiacevole associata ad un pericolo tessutale presente o potenziale, o descritto
in termini di potenziale danno”.
Il dolore è un campanello di allarme che ci avverte che qualcosa non va nel
nostro corpo. Può essere acuto, ad insorgenza improvvisa, oppure cronico, quando
continua nel tempo. È una sensazione soggettiva, perché la sofferenza di
ciascuno è influenzata da numerosi fattori individuali.
ll primo contatto con un
paziente con dolore cronico può essere difficile perché ci si confronta con la
sua aggressività, con i sentimenti di frustrazione e con la sfiducia che trapela
dalle sue parole. La relazione è sempre facilitata quando l’operatore sanitario
mostra chiaramente al paziente di credere al suo dolore e di provare empatia nei
suoi confronti.
Credere al dolore non significa accettare tutte le concezioni del malato sul suo
stato o sulla natura del dolore: bisogna saper spiegare che le cause non sono
univoche e far condividere un modello di rappresentazione del problema che
renderà legittima la strategia terapeutica.
In ogni caso, il colloquio con il malato con dolore cronico non può essere
concepito in un’atmosfera di urgenza: bisogna saper essere disponibili ad
ascoltare e a creare un clima di confidenza indispensabile per una relazione di
qualità.
Il dolore non deve essere considerato come una condizione ineluttabile e neppure
l’obbligatoria conseguenza di interventi chirurgici, procedure diagnostiche,
parti, eventi morbosi acuti o cronici. Una delle principali preoccupazioni per i
pazienti che devono sottoporsi ad intervento chirurgico e’ l’entità del dolore
post operatorio.
Alla luce delle mie pregresse esperienze, in quanto infermiere di sala operatoria, posso tranquillamente dire che enorme importanza riveste il momento di arrivo del paziente in sala di preparazione. In questa fase si deve, o quantomeno si dovrebbe, instaurare un rapporto di fiducia tra infermiere-paziente. E’ necessario che il personale sanitario dia tutte le informazioni che possano tranquillizzarlo e fargli capire che si conosce il suo problema assumendosene pieno carico. Il paziente deve essere considerato non un numero di cartella o un entità spersonalizzata, ma una persona con la sua dignità, le sue emozioni, le sue paure. Nella sala operatoria, dove io lavoro, dopo che i pazienti vengono monitorizzati e si incannula una vena periferica, vengono premedicati con dei farmaci, quali: meperidina o fentanest associati a droperidolo e benzodiazepine, su prescrizione del medico anestesista per sedarli.
Numerosi fattori influenzano la
comparsa, l’intensità, le caratteristiche e la durata del dolore chirurgico:
Ø Il tipo d’incisione
Ø La durata dell’intervento
Ø Lo stato psico-fisiologico del paziente
Ø La qualità della preparazione psicologica e farmacologica preoperatoria.
Questo spiega l’importanza della consulenza anestesiologica precedente
all’intervento.
Il dolore deve e può essere trattato, in entrambi i sessi e in tutte le età, non solo per motivazioni etiche, ma anche perché la sofferenza nei casi di cronicità può diventare una sindrome autonoma con pesanti effetti psicologici e sulla vita di relazione. Prendersi cura della persona che ha bisogno di assistenza significa considerare la malattia non solo un evento biologico ma una esperienza vissuta, significa considerarne anche gli aspetti di sofferenza, di dolore fisico e psicologico, per molto tempo considerati fattori secondari, quasi un tributo necessario. La sofferenza acuta e cronica non è inevitabile: le terapie del dolore possono dare sollievo, possono contribuire a migliorare la qualità della vita in quel determinato momento e con quella determinata patologia. Combattere questo dolore è un dovere etico e rappresenta una buona pratica di assistenza clinica.
La misurazione dell'esperienza del dolore è utile per diverse ragioni. Innanzitutto rappresenta una base di partenza dalla quale valutare i futuri interventi terapeutici. E' importante rilevare il grado di compromissione o invalidità per ragioni curative o legali. Molti degli strumenti di valutazione mostrano pregi discriminativi e possono aiutare il clinico nella diagnosi di una condizione specifica. Inoltre alcune metodiche di valutazione posseggono la capacità specifica di differenziare il vero paziente sofferente dal simulatore e di valutare l'influenza della personalità sull'esperienza dolorosa.
Gli studi di prevalenza effettuati negli Stati Uniti, in Canada, in Inghilterra e in Olanda, indicano che la percentuale di malati con dolore durante il ricovero varia dal 45% al 79%. Questi risultati sono confermati in Italia da una ricerca trasversale realizzata negli ospedali della Liguria: al momento della rilevazione il 40% dei malati aveva dolore, 56.6% nelle ultime ventiquattro ore, e di questi il 61% e il 29% rispettivamente avevano un'intensità massima e un'intensità media superiore a cinque su una scala da zero a dieci. Questi dati sono preoccupanti, se assumiamo il controllo del dolore come un indicatore di qualità delle cure.
I numerosi studi sulle ragioni
dello scarso trattamento del dolore, permettono di individuare tre gruppi di
cause che coesistono nei diversi paesi e nei diversi gruppi professionali. Vi
sono le cause ideologiche, connesse alla cultura di sopportazione della
sofferenza; cause istituzionali, legate alla scarsa integrazione delle
prestazioni sanitarie e alla severa legislazione che ostacola l'uso terapeutico
della morfina a domicilio; e quelle connesse alla formazione dei professionisti,
carente e fonte di opinioni sbagliate sul dolore e sul suo trattamento.
Gli aspetti cruciali su cui la letteratura ha posto l'attenzione sono da un lato
la tendenza degli operatori a sottostimare e sottotrattare il dolore, dall'altro
i timori infondati e i pregiudizi comuni per i quali il cittadino rinuncia ad
esprimere il proprio dolore, ad accettare di trattarlo prima che insorga, a
seguire gli schemi terapeutici efficaci.
La letteratura infermieristica non fa eccezione rispetto ai numerosi studi che
documentano una discordanza tra l'intensità del dolore riferita dal malato e
quella stimata dai curanti. In particolare è poco applicata la raccomandazione
di domandare sempre al malato, e di accettare la sua valutazione. I fattori che
sembrano influenzare la richiesta e l'accettazione del parere del malato sono:
l'età, i segni vitali, il comportamento doloroso.
I neonati, i bambini piccoli e le persone con disturbi intellettivi sono
particolarmente a rischio di non essere interpellati, valutati e capiti nel loro
dolore; al malato è richiesta (e viene accettata) la sua valutazione del dolore
soprattutto se la mimica del volto è accentuata, se sono presenti i segni di
iperattività del sistema nervoso periferico e se il comportamento doloroso è
quello culturalmente atteso.
Riguardo ai test diagnostici i
medici ritengono appropriati ed utili, in accordo sostanziale tra loro,
metodiche comuni di esame obiettivo e di diagnostica, come la radiografia
standard, la TAC e l'elettromiografia. Tuttavia, esiste uno scarso consenso e
poche basi empiriche cui riferirsi per scegliere lo strumento più adeguato per
la misurazione del dolore. La misurazione del dolore è in evoluzione, la
ripartizione in categorie è cambiata ed i metodi sono stati sviluppati e
affinati. Per valutare l'esperienza del dolore, gli strumenti di misurazione si
sono basati tradizionalmente su dati soggettivi, ponendo l'attenzione sulla
sensazione, sulla sofferenza e sul comportamento del paziente.
Le metodiche più frequentemente usate per la misurazione del dolore sono di
natura soggettiva. La misura del dolore non è data da quanto gli altri
pensano che la persona soffra, ma da quanto il malato dice di soffrire. A
questo criterio devono uniformarsi la valutazione e il trattamento.
L’autovalutazione del malato è il singolo indicatore più attendibile di
intensità del dolore e non può essere sostituita dall’osservazione dei
comportamenti e dalla rilevazione dei segni vitali. I lamenti, le smorfie, i
gesti come quello di tirare una sonda o allontanare da sé una mano che tocca, i
segni di iperattività del sistema nervoso periferico nel dolore acuto e le
variazioni nel sonno o d'alimentazione nel dolore cronico, il pianto nel bambino
e i cambiamenti nella continenza dell'anziano, suggeriscono la presenza di
dolore, si possono analizzare e quantificare, ma non danno indicazioni certe
sull'intensità del dolore.
Le scale per la misurazione del
dolore di natura soggettiva possono essere: singole o multidimensionali
La valutazione dell’analgesia è fondamentale nella pratica quotidiana. Può
essere chiesto al paziente di descrivere il dolore in termini di localizzazione
ed intensità; quest’ultima può venir valutata attraverso sistemi di punteggio
soggettivi che implicano una stretta relazione infermiere-paziente.
Le scale per la valutazione del dolore più utilizzate dal personale infermieristico sono quelle soggettive di natura singola che comprendono:
1. Scala analogica visiva ( VAS);
2. Scala analogica cromatica continua;
3. Scala numerica;
4. Scala verbale;
5. Scala delle espressioni facciali (utile nei bambini).
Scala analogica visiva (VAS)
Questa scala lineare è la rappresentazione visiva dell'ampiezza del dolore che
un paziente crede di avvertire. Questa scala può assumere diverse forme, sia
come scala del dolore che come scala di sollievo del dolore. L'ampiezza è
rappresentata da una linea, solitamente lunga 10 cm, con o senza tacche in
corrispondenza di ciascun centimetro. La lunghezza ottimale per misurare il
dolore sembra essere 10 cm. Un'estremità indica l'assenza di dolore, mentre
l'altra rappresenta il peggiore dolore immaginabile. Altre varianti di VAS
comprendono una linea numerata e calibrata lunga 10 cm, una serie di riquadri
adiacenti, numerati da 0 a 10, oppure una rappresentazione grafica simile a un
termometro.
La scala viene compilata dal paziente, al quale viene chiesto di tracciare sulla
linea un segno che rappresenti il livello di dolore provato. La distanza
misurata in millimetri, partendo dall'estremità che indica l'assenza di dolore,
rappresenta la misura della particolare modalità da quantificare. Questa prova
può essere facilmente ripetuta nel tempo. Questo tipo di stima offre il
vantaggio della semplicità. E' ampiamente utilizzato ed è indipendente dal
linguaggio. Viene facilmente compreso dalla maggior parte dei pazienti e può
essere facilmente ripetuto. Anche i bambini di età superiore a 7 anni possono
comprenderlo. E' ben più accurata di una scala di categorie verbali di sollievo
del dolore, che offre termini descrittivi insufficienti per graduare
criticamente il sollievo. La VAS può essere utilizzata per valutare il dolore in
momenti specifici, ma fornisce risultati più attendibili quando è limitata
all'esperienza del dolore in corso piuttosto che al ricordo di un'esperienza
precedente. Fra i diversi tipi di VAS, la linea assoluta, ovvero non
tratteggiata,è la meno sensibile agli errori. Lo svantaggio di questo test sta
nel fatto che tratta l'esperienza del dolore come se fosse monodimensionale ed
evidenzia l'intensità senza riguardo per altri fattori. Esiste la tendenza al
raggruppamento in prossimità dei numeri centrali, con una maggiore
riproducibilità agli estremi della linea e nel punto mediano. Un'altra critica
riguarda i limiti imposti con gli estremi assoluti. Sebbene "l'assenza di
dolore" o "il sollievo completo" siano inconfutabilmente una misura assoluta,
l'altro estremo non può essere considerato tale. "Il peggiore dolore
immaginabile" non lascia spazio a un dolore persino peggiore in un momento
successivo. Non tutti i pazienti possono eseguire una VAS (ad esempio
nell'immediato postoperatorio), e il tasso di insuccessi è del 7%. Le risposte
alla VAS sono influenzate da diversi fattori che riguardano le condizioni
psicofisiche. L'esecuzione richiede una certa coordinazione visiva e motoria.
Una variante della VAS è la scala di sollievo del dolore, per la quale gli
estremi definiscono appunto il grado di sollievo. Al paziente viene chiesto di
segnare, sulla linea fra i due estremi, l'entità del dolore rispetto a un
momento precedente.
Nessun sollievo 0% -------------------------------100% Sollievo completo
Ha delle varianti adatte per i bambini, quella con una serie di espressioni
facciali che vanno dal viso sorridente al pianto, e per le persone con
difficoltà cognitive (scala dei grigi). La presenza di una di queste scale nella
documentazione clinica è considerato un fattore fondamentale di qualità
dell’assistenza dei malati con dolore.
Scala numerica verbale (VNS)
La scala numerica verbale è una semplice scala di valutazione del dolore,
molto simile alla VAS. E' lineare e ha con quest'ultima una buona concordanza.
La VNS viene facilmente compresa dal paziente che sceglie semplicemente un
numero fra 0 e 10 per rappresentare il livello di dolore.
Nessun dolore ---0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 ---Il peggiore dolore immaginabile
La VNS elimina la necessità della coordinazione visiva e motoria richiesta per
eseguire la VAS e offre quindi maggiori possibilità di completamento. Sembra più
utile della VAS per la misurazione nell'immediato periodo postoperatorio.
L'insuccesso nel completare la scala è nell'ordine del 2%. Un'altra scala di
sollievo del dolore costituisce una variante della scala numerica verbale. Gli
estremi definiscono il grado di sollievo del dolore; lo zero indica nessun
sollievo, mentre il dieci indica un sollievo completo.
Nessun sollievo ---0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10--- Sollievo completo
Scala di valutazione verbale (VRS)
Questo tipo di scala è la più semplice, e ha la maggiore probabilità di
completamento, in quanto molti pazienti preferiscono le scale verbali a quelle
analogiche visive o numeriche. Le scale definiscono l'intensità del dolore come
lieve, moderato, grave o assente; oppure: dolore assente, lieve, fastidioso,
penoso, orribile e atroce. Sono semplici e agevoli da somministrare. Allo stesso
modo il sollievo del dolore può essere definito come assente, lieve, moderato o
buono. Le distanze fra i termini descrittivi utilizzati si suppongono uguali.
Questa scala si è dimostrata sensibile alla posologia dei farmaci, al sesso e
alle differenze etniche, e risulta più accurata rispetto alla scala analogica
visiva nella valutazione degli effetti degli analgesici sul dolore acuto. La
scala verbale è limitata dal fatto che offre un numero ristretto di termini per
rappresentare il dolore e pertanto non consente una fine valutazione dello
stesso.
Paziente: ………………............................. Intervento:………………........................... |
|||||
Arrivo in SR | 15° min | 30°Min | 45°Min | Uscita SR | |
Dolore | |||||
Farmaco/dose: | |||||
punteggio dolore: Assente=0 - Moderato=2 - Severo=5 |
Sono esclusi da questa valutazione i pazienti sottoposti ad interventi di day-surgery
Scala delle espressioni facciali
Valutare e trattare il dolore nel bambino implica di rispondere almeno a 4
domande essenziali:
Il bambino ha dolore?
Qual è l’intensità del dolore?
Qual è il meccanismo alla base?
Di quali mezzi disponiamo per contrastarlo?
La misurazione del dolore nei bambini è più difficile. I bambini non hanno la
competenza verbale e la comprensione concettuale degli adulti, né tanto meno
sono in grado di compilare una scala analogica visiva prima dei 7 anni. I metodi
oggettivi di raccolta dei dati risultano molto più attendibili che negli adulti.
Un metodo non verbale innovativo è costituito dalla scala di espressioni
facciali. Queste scale consistono generalmente in una serie di disegni
raffiguranti diverse espressioni facciali, che rappresentano le variazioni di
gravità del dolore. Il bambino è chiamato a valutare il suo dolore scegliendo il
disegno che rappresenta il livello della propria esperienza dolorosa.
Si può inoltre proporre al bambino di raffigurare, su un uomo schematicamente
disegnato, le sue zone di dolore.
Si chiede al bambino di stabilire una scala scegliendo colori diversi per
rappresentare il dolore leggero, il dolore medio, quello forte e quello
estremamente forte. Poi, con l’aiuto di questi quattro colori, gli viene chiesto
di disegnare com’è il suo dolore. Si è spesso sorpresi della qualità delle
informazioni date dal bambino. Non solo la diagnosi del dolore, ma anche quella
della sua eziologia possono trarre beneficio da tale metodo, in particolare
quando i dolori interessano differenti punti del corpo.
Misure soggettive multidimensionali
Comprendono il diario del dolore, cioè l’esposizione personale orale
o scritta con annotazione del dolore in relazione ad esperienze e comportamenti
quotidiani; le mappe del dolore, che consistono in un diagramma che rappresenta
una figura umana sul quale sono riportate la sede e l’irradiazione del dolore
avvertito; i questionari, composti da un elenco di parole che descrivono la
dimensione affettiva, sensoriale, e cognitiva del dolore; le scale, che danno
una indicazione numerica. Ciascuna misura ha vantaggi e limiti; ad esempio il
limite principale dei questionari è di essere lunghi ed utilizzare termini non
conosciuti, che non rientrano nel linguaggio comune. Un mezzo semplice ed
efficace è lo schema di intervista PQRST, facile da ricordare perché richiama le
onde dell’elettrocardiogramma (Tabella 1):
Ø cosa lo provoca (e cosa lo allevia),
Ø qualità (punge, strappa, opprime),
Ø irradiazione (dov'è e dove si irradia),
Ø severità o intensità,
Ø tempo (continuo, discontinuo, si accentua di notte) .
caratteristica del dolore | Domanda da porre al paziente |
Provocato da | Cosa lo fa peggiorare? Cosa lo fa migliorare? |
Qualità | A cosa assomiglia? |
IRradiazione | Dov’è il dolore? Dove si sposta? |
Severità | Quanto è forte? |
Tempo | C’è sempre o va e viene? |
Diario del dolore
Un modo per valutare i comportamenti da dolore è di
chiedere ai pazienti di tenere un diario delle loro attività. Solitamente i
pazienti registrano il numero di volte che compiono delle attività specifiche
(ad esempio, sedere, camminare, stare distesi o in piedi) e quanto tempo
dedicano ad esse. Il diario del dolore è una esposizione personale, orale o
scritta, delle esperienze e del comportamento giornaliero. Viene usualmente
adoperato nei reparti di terapia del dolore o a casa e può aiutare i medici
nella diagnosi. Queste relazioni sono solitamente attendibili e rappresentano un
metodo soddisfacente per valutare giornalmente i mutamenti delle condizioni
patologiche e la risposta alla terapia. Questo tipo di misurazione dipende da
un'accurata registrazione, da parte del paziente, delle comuni attività
quotidiane. Al paziente viene chiesto di annotare l'intensità del dolore, specie
in relazione a particolari comportamenti, quali:
Attività quotidiane, come sedersi, alzarsi e distendersi;
Tipo di sonno;
Attività sessuale;
Compiti specifici;
Farmaci analgesici assunti;
Attività domestiche eseguite;
Attività ricreative svolte;
Pasti assunti.
Le informazioni raccolte da un diario del dolore possono essere utilizzate nella
ricerca clinica. Esse rappresentano una catalogazione più accurata della reale
assunzione di farmaci rispetto al richiamo della memoria, considerando che un
paziente che si basa solo sulla propria memoria per ricordare il consumo di
farmaci tenderà, in genere, a sottostimare tale consumo, specie se il farmaco è
un narcotico oppure, al contrario, a riferire un maggior uso per protagonismo o
questioni legali o assicurativi.
Le mappe del dolore
Mediante le mappe del dolore, ai pazienti viene chiesto di segnare (anche con
matite colorare) le parti di una figura umana o di un diagramma nelle quali
viene avvertito il dolore in uno specifico momento. I bambini oltre gli 8 anni
possono eseguire attendibilmente e validamente questo test. La mappa può essere
utile per valutare sede e distribuzione del dolore e rappresenta una
registrazione definitiva nella cartella clinica del paziente. Le mappe del
dolore possono essere utilizzate anche per valutare le variazioni del dolore in
risposta alla cura. E' stato suggerito che una rappresentazione visiva può
aiutare il medico nella diagnosi e nella scelta terapeutica. Questo test, come
misura percentuale della superficie corporea colpita e della sede del dolore,
può essere facilmente utilizzato da personale non specializzato e offre un
elevato grado di ripetibilità nel tempo. Nei bambini più piccoli è precluso
l'uso dell'autodescrizione verbale dell'esperienza di dolore e del comportamento
a esso associato, e quindi assumono rilevanza le tecniche non verbali o di
osservazione del comportamento.
Le mappe del dolore sono utili nella valutazione della sede e della
distribuzione del dolore, ma presentano certi limiti. Esse non misurano la reale
intensità del dolore. Lo strumento è inadeguato per la misurazione del dolore in
certe zone, per esempio nelle cefalee. Certamente esiste la necessità di criteri
più obiettivi per la valutazione delle mappe, per evitare una sovrastima e per
determinare il reale rapporto tra il significato della mappa e la sofferenza
psicologica.
Il riconoscimento ed il trattamento del dolore
Alcuni malati rinunciano alle misure efficaci per evitare che il dolore si
manifesti o accettano di curarlo solo quando non sono più in grado di
sopportarlo. Questi comportamenti hanno ragioni diverse, ma tutte accettabili
per il fatto che il malato ha il diritto di decidere secondo i suoi valori e ciò
che giudica il suo migliore interesse. Se il malato vuole cercare di sopportare
il dolore, il professionista deve rispettarne la decisione senza tentare di
modificarla, anche se gli pare irrazionale, e tuttavia deve porsi il problema di
comprendere le cause del comportamento del malato, per due ragioni. La prima è
che è inammissibile non rispettare una persona sul cui corpo si sta per
intervenire, ma per rispettarla è indispensabile fare qualcosa per conoscerla,
per sapere cosa è per lei il dolore, di cosa ha paura, quale è il benessere cui
aspira.
La seconda ragione è che la scelta deve esser informata, il malato deve sapere
che può chiedere analgesici in qualsiasi momento, anche prima che il dolore
insorga, e che il ritardo nella terapia e il peggioramento del dolore implicano
la necessità di usare dosaggi più elevati di farmaco.
In ambito ospedaliero grande importanza assume il ruolo dell’ infermiere
nell’identificazione e trattamento del dolore. Egli con l’ausilio degli
strumenti standardizzati può attuare diversi tipi di interventi, « piccoli
mezzi » come la borsa del ghiaccio o la borsa dell’acqua calda, può proporre
metodi di educazione per l’acquisizione di gesti contro il dolore, lo può
prevenire al momento delle cure per il dolore.
Infine, l’infermiere non dimenticherà di essere terapeuta grazie al rapporto con
il malato, questo rapporto privilegiato, chiamato relazione di aiuto e che è
particolarmente importante nel soggetto con dolore cronico.
Per praticare l’ascolto attivo nella relazione di aiuto bisogna sapere:
Tacere: per lasciare al paziente
il tempo di parlare e di entrare in comunicazione con se stesso, per
permettergli di esprimere ciò che sente (il malato parla nell’80% dei casi).
Bisogna fargli capire che si comprende il messaggio dato. Il modo di fare deve
essere disponibile, tranquillo, in accordo con
ciò che si ha piacere di comunicare.
Invitare il paziente a parlare: Trasmettergli in maniera attiva la nostra disponibilità ad ascoltarlo, attraverso uno sguardo, un segno, una parola : « sono qui per parlare con lei ».
Proporre al paziente delle domande aperte: talvolta la comunicazione inizia gradualmente : « come si sente ? »; - come funziona ? che c’è ? chi ? di cosa ? dove siete ? - scegliere parole che tocchino sia la sfera sentimentale sia quella emotiva, sia quella dei pensieri sia quella della speranza e dell’immaginazione, sia quella del corpo e del suo dolore.
Effettuare chiarificazioni e verifiche: bisogna verificare quello che dice il paziente in rapporto a quello che dicono gli altri.
Utilizzare la decodificazione e la ripetizione : si tratta di ridire alla persona in difficoltà quello che noi crediamo di percepire del suo dolore.
Queste tecniche permettono al
malato di sentirsi ascoltato. Si crea intimità ed egli può continuare ad
esprimersi liberamente riguardo a ciò che egli vuole. Il paziente ha, inoltre,
la sensazione di poter controllare il colloquio. Di fronte alla sofferenza del
malato è necessario saper scoprire i suoi comportamenti dettati dal dolore,
particolarmente nel paziente con dolore cronico: si trova in fase di rifiuto, di
ribellione, di patteggiamento? è depresso, o sta evolvendo verso l’accettazione
? .
In effetti, psicologia e tolleranza sono indispensabili poiché il dolore cronico
può diventare un vero mezzo di comunicazione con gli altri ed il dolore ribelle
e persistente può trasformarsi in una malattia vera e propria.
E soprattutto non dimentichiamo
che: «si sopporta solo il dolore degli altri !».
Informazioni sulla rivista
ESIA-Italia
EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia
costituisce la parte Italiana della versione Americana, pubblicata su Internet
da Keith J Ruskin, Professore di Anestesia alla Università di Yale. I lavori
saranno accettati sia in lingua Italiana che Inglese. In quelli di lingua
Italiana un corposo riassunto in Inglese verrà preparato dalla redazione,
qualora l'autore non fosse in grado di fornirlo. A cura della redazione sarà
inoltre la traduzione in Italiano dei manoscritti inviati in lingua Inglese. La
rivista sarà inviata gratuitamente a tutti quelli che ne faranno richiesta,
inviando il seguente messaggio "Desidero ricevere ESIA versione
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La rivista pubblica rewiews e lavori originali
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utilizzando la sezione riservata ad ESIA-Italia; oppure
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Il numero della rivista è anche ottenibile
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