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2 IMPIEGO DELLA VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA NELL EDEMA POLMONARE ACUTO CARDIOGENO _______________________________________________________
Elio Virone
Divisione di PNEUMOLOGIA - Azienda Ospedaliera "S.
Elia" - Caltanissetta, Italia
Negli ultimi anni la terapia delledema polmonare acuto cardiogeno si è avvalsa di metodiche di assistenza respiratoria non invasiva che hanno affiancato la terapia medica di elezione. La metodica non influenza la prognosi a distanza dei pazienti, ma svolge un ruolo importante nel ripristino degli scambi gassosi e nellevitare in molti casi lintubazione tracheale (1). LEdema Polmonare Acuto Cardiogeno (EPAC) è unemergenza medica caratterizzata da improvvisa e grave dispnea a riposo, cianosi periferica, sudorazione algida, agitazione e senso di morte imminente. Il quadro è dovuto ad una alterazione dei processi fisiologici che governano lo scambio di liquidi e soluti a livello della membrana alveolo-capillare (equazione di Starling). La pressione oncotica plasmatica e la pressione interstiziale tendono a trattenere i fluidi entro i capillari, al contrario la pressione idrostatica capillare e la pressione oncotica del liquido interstiziale tendono invece a spostare i fluidi fuori dai vasi, con il loro relativo accumulo negli spazi interstiziali e allinterno degli alveoli. Assumono molta importanza anche i coefficienti di permeabilità e il coefficiente di riflessione delle macromolecole: entrambi si modificano con lapertura delle giunzioni endoteliali ed alveolari.
La pressione idrostatica capillare (Pc) è determinata da diverse varianti: pressione dellarteria polmonare (Pa); pressione delle vene polmonari (Pv); resistenze precapillari (Ra); resistenze postcapillari (Rv).
Pc = [Rv/Ra (Pa +Pv)] / (1 + Rv/Ra)
Ciò rende conto della necessaria efficacia del ventricolo destro per linsorgenza dellEPA, in quanto lapporto di sangue ad ogni sistole del V.D. nel letto capillare polmonare deve essere superiore alla possibilità di eiezione da parte del V.S.
LEPAC è causato da un aumento della pressione idrostatica capillare polmonare come conseguenza di insufficienza del V.S.( vizi valvolari, cardiomiopatie, ischemia, ipertensione). Contribuiscono alla genesi dellEPAC liponchia plasmatica, lostacolo al deflusso linfatico, e laumento della permeabilità capillare; tale ultima alterazione è interamente responsabile invece delledema non cardiogeno in cui la concentrazione proteica del liquido alveolare è quasi uguale a quella plasmatica (2).
In modo alquanto schematico, possiamo suddividere la fisiopatologia e la clinica dellEPAC in tre varianti:
La terapia medica tradizionale si avvale dellimpiego di vasodilatatori venosi e arteriosi, diuretici, morfina, inotropi, impiegati con un algoritmo (fig.1) che segue le indicazioni della clinica: nel caso di edema a "bassa pressione" sarà indicata linfusione di Dopamina e successivamente lassociazione con Dobutamina. Nella condizione in cui la pressione arteriosa si mantenga intorno a valori di 100 mmHg è indicata la somministrazione iniziale della sola Dobutamina con aggiunta progressiva di diuretici e Nitroglicerina. Nelledema con ipertensione arteriosa la morfina è il farmaco di prima linea, seguito da furosemide, nifedipina, nitroglicerina. La digitale viene riservata quasi esclusivamente nei pazienti con fibrillazione atriale ad alta risposta ventricolare, nelle aritmie atriali caotiche e nel flutter. Lossigeno-terapia ad alti flussi rimane ovviamente un presidio indispensabile.
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fig. 1 |
Le ripercussioni principali dellEPAC sulla funzione respiratoria si evidenziano in modo rilevante a carico del lavoro respiratorio: questo normalmente assorbe il 2-3 % del consumo di ossigeno totale, ma in corso di grave insufficienza respiratoria può raggiungere anche il 30-40 %. Lipossiemia a sua volta aggrava il debito di ossigeno muscolare e con la contemporanea stimolazione dei recettori "J" accentua il lavoro respiratorio e la dispnea. Sul versante cardiocircolatorio lipossiemia aggrava lo stress di parete ventricolare con possibilità di ischemizzazione e ulteriore riduzione del deficit contrattile. Il lavoro cardiaco è aumentato per incremento del post-carico ventricolare. Lincremento delle resistenze vascolari sistemiche secondarie alla ridotta portata cardiaca e allipossiemia favoriscono un ulteriore deterioramento della funzionalità cardiaca.
Sulla base di queste considerazione si intuisce come lassistenza respiratoria meccanica sia un presidio indispensabile per la prognosi. In tale ambito le procedure di ventilazione non invasiva (NIMV) possono permettere una più rapida risoluzione del quadro clinico con la possibilità di evitare in acuto lintubazione tracheale.
Le motivazioni fisiopatologiche che sorreggono limpiego della ventilazione in corso di edema polmonare acuto sono essenzialmente:
La metodica non invasiva più utilizzata è la modalità CPAP in maschera facciale. Si ricorre alla modalità BiPAP quando lesaurimento della pompa muscolare respiratoria porta ad un incremento della PCO2 per cui è necessario un incremento della pressione di supporto. La maschera nasale non è di prima scelta in quanto lintensa dispnea e lagitazione del paziente non permettono una adeguata collaborazione. Nella nostra esperienza utilizziamo ventilatori pressumetrici (Sullivan VPAP II, Respironics S/T 30), a circuito monotubo con maschera facciale (Gibek) a tenuta e valvola espiratoria, con un sistema interno di compensazione delle perdite. La pressione viene preimpostata mediamente a 8-10 cm H20. Addizioniamo sempre un supplemento di ossigeno nel circuito paziente sino ad ottenere una SpO2 > 93%. Il paziente viene inoltre monitorato per la valutazione non invasiva dei parametri vitali: pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, traccia ECG, saturazione in O2. La valutazione del volume corrente espirato è ovviamente indispensabile. Iniziamo la NIMV già nelle prime fasi dell edema, senza aspettare il deterioramento delle funzioni cardiorespiratorie e/o neurologiche: anzi in tali casi il ricorso allintubazione tracheale è dobbligo: la scrupolosa osservazione clinico-strumentale del paziente in ventilazione permette di valutare il grado di adattamento alla maschera ed al ventilatore e di verificare entro 30 min. il miglioramento dellematosi e del profilo emodinamico: se invece in tali circostanze il paziente non migliora provvediamo allintubazione e al trasferimento in terapia intensiva.
Limpiego della CPAP (10 cm H2O) in maschera facciale è stato dimostrato come "sicuro ed efficace" in una larga percentuale di pazienti con edema polmonare e viene consigliato come primo approccio indipendentemente dalletà del paziente e dalla patologia polmonare di base (1). Anche limpiego della modalità BiLivel (setting: IPAP 15; EPAP 5) si è dimostrata efficace nel migliorare la frequenza respiratoria e cardiaca, nel ridurre la PaCO2 e migliorare la differenza alveolo-arteriosa di ossigeno. In uno studio comparato (3) la modalità BiLivel si è dimostrata superiore alla CPAP nel miglioramento dei parametri segnalati a 30 min. di ventilazione; pari invece sono state le mortalità e il ricorso allintubazione. Lo studio dei parametri emodinamici e respiratori in corso di CPAP per via non invasiva attraverso maschera facciale ha dimostrato (4) in pazienti con pressione capillare polmonare maggiore di 18 mmHg e indice cardiaco inferiore a 2,8 L/min/mq un significativo incremento della compliance polmonare, una riduzione delle resistenze delle vie aeree, un miglioramento della funzione dei mm. respiratori, rilevata dallindice tensione-tempo, e il miglioramento della performance cardiaca per il decremento della pressione transmurale sinistra.
Da una ricerca condotta su Medline si evidenzia come in letteratura limpiego della CPAP in maschera facciale nelledema polmonare si conferma come un utile presidio per il miglioramento degli scambi gassosi e per la riduzione della necessità di intubazione (5, 6). Nei gruppi di controllo trattati con terapia convenzionale ed ossigenoterapia non si avevano miglioramenti significativi dei parametri ossigenoderivati. Lotttimiazzazione della funzione cardiovascolare, in termini di riduzione della frequenza cardiaca e incremento dellindice cardiaco, si è avuta solo con limpiego della CPAP (6). In particolare uno studio (7) ha dimostrato che dopo sei ore di monitoraggio e ventilazione in CPAP il 28 % dei pazienti aveva bisogno del ricorso allintubazione, contro il 60 % del gruppo di controllo. Altri Autori (8) hanno confermato questi dati dichiarando un fallimento della CPAP non invasiva nel 24 % dei casi contro il 50 % del gruppo di controllo. Il fallimento della modalità non invasiva era dovuto alleccessiva presenza di secrezioni, alla dissincronia paziente-ventilatore, e allincremento della capnia(9). Altri studi (10, 11) concordano nel dimostrare che non esistono differenze significative nella mortalità, ma che si ottiene un incremento delle funzioni cardiorespiratorie e una riduzione della necessità di intubazione: tuttavia sono necessari ulteriori controlli per verificare questi risultati.
In conclusione, nellesperienza quotidiana di una divisione internistica pneumologica, in accordo con la letteratura, limpiego di procedure non invasive a carattere semi-intensivo può migliorare la prognosi a breve termine delledema polmonare, contribuendo a decongestionare i reparti di terapia intensiva generale, anche in virtù della possibilità di ritrasferire il paziente in "area medica" per seguirne il "monitoraggio" dopo svezzamento dalla ventilazione invasiva, con sensibile riduzione dei costi di assistenza. (12)
BIBLIOGRAFIA
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3 MANUALI DI ANESTESIA: Chirurgia Ginecologica (1^parte) - Isterectomia
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Questa rubrica, curata dal dott. Lelio Guglielmo, presenta i protocolli anestesiologici adottati, nelle varie specialità chirurgiche, dal Servizio di Anestesia e Rianimazione dell'Ospedale Buccheri La Ferla. Questi manuali che sono il frutto di studi e dell'esperienza di oltre 15 anni di attività anestesiologica non pretendono ovviamente di avere un carattere "universale". E' evidente altresì che l'applicazione delle procedure descritte va valutata criticamente in relazione al proprio ambiente di lavoro. La parte riguardante le considerazioni chirurgiche è stata realizzata in collaborazione con i chirurghi delle varie specialità, operanti nel nostro ospedale.
Qualsiasi commento o critica è
bene accetta e può essere inviata a leliobuc@tin.it oppure alla redazione LANZA@MBOX.UNIPA.IT
Anestesia in chirurgia ginecologica
Ia parte - ISTERECTOMIA |
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Considerazioni Chirurgiche
Per
l'isterectomia sono possibili due vie: vaginale e addominale.
La via vaginale, eseguita con paziente in posizione
litotomica dorsale, viene normalmente preferita dai
chirurghi perchè è gravata da una minore morbilità e
mortalità. Il suo uso è limitato da situazioni in cui
la grandezza dell'utero, l'esistenza di adesioni pelviche
o la presenza di una patologia cancerosa richiedono un
approccio addominale. Nelle pazienti di età maggiore di
45 anni, la ovarosalpingectomia bilaterale è spesso
eseguita in aggiunta all'isterectomia come profilassi ad
un carcinoma ovarico. La sindrome di rilassamento pelvico
costituisce la diagnosi preoperatoria più frequente
nelle pazienti sottoposte a isterectomia vaginale. Il
rilassamento pelvico include uno o più delle seguenti
situazioni: prolasso dell'utero; intestino erniato nello
scavo del Douglas (enterocele); vescica erniata nella
parete vaginale anteriore (cistocele); uretra erniata
nella parete vaginale anteriore (uretrocele); retto
erniato nella parete vaginale posteriore (rettocele). In
questi casi, l'isterectomia è spesso accompagnata da:
colporrafia anteriore e/o posteriore, sospensione
anteriore del collo vescicale, perineoplastica. Varianti nell'approccio: l'isterectomia addominale è eseguita attraverso un Pfannenstiel o una incisione mediana, in rapporto alla grandezza dell'utero e alla necessità di eseguire una dissezione linfonodale per cancro. Dopo la penetrazione in addome, si posiziona un divaricatore autostatico e i legamenti ovarici e quelli larghi vengono clampati, legati e sezionati. Vengono identificati e legati i vasi uterini e successivamente vengono legati e sezionati i legamenti uterosacrali e quelli cardinali. Si entra in vagina e si rimuove la cervice. La cupola vaginale viene successivamente chiusa in modo da includere i legamenti uterosacrali affinchè facciano da supporto. Nell'isterectomia vaginale, si pinza la cervice, si esegue una incisione paracervicale e le pareti anteriori e posteriori della vagina vengono tirate a formare un cul de sac. I legamenti uterosacrali e i vasi uterini vengono legati e tagliati. Con una trazione verso il basso, il legamento largo viene legato in modo tale da comprendere anche il legamento ovarico o quello dell'infundibolo pelvico, dei quali se ne lega uno od entrambi a seconda che le ovaie vengano rimosse o meno. Dopo l'asportazione dell'utero, il peritoneo viene riaccostato, la cupola vaginale viene chiusa, includendo i legamenti uterosacrali e cardinali come supporto. Uno zaffo vaginale viene spesso lasciato in situ. Usuali diagnosi preoperatorie: mioma uterino; sindrome del rilassamento pelvico; dolore pelvico secondario a endometriosi o aderenze; metrorragie o dismenorree intrattabili; iperplasia endometriale; cancri ginecologici. |
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CARATTERISTICHE DELLA POPOLAZIONE DEI PAZIENTI
intervento | isterectomia addom. | colpoisterectomia |
range di età | 30-60a. | 40-80a. |
eziologia | fibromatosi, tumore, endometriosi | prolasso uterino |
condizioni associate | incontinenza urinaria | la stessa |
incidenza | >20 % donne | la stessa |
SOMMARIO DELLE PROCEDURE
Laparoisterectomia | Colpoisterectomia | |
POSIZIONE | supina | litotomica |
STRUMENTI | nessuno | staffe |
INCISIONE | Pfannestiel o ombelico-pubica | |
ANTIBIOTICI | ceftriaxone 2gr. | lo stesso |
TEMPO CHIRURGICO | 60-90min | 90-120 min. |
PERDITE EMATICHE | modeste | 200-500 ml |
POSTOPERATORIO | reparto | reparto |
MORTALITA' | 0.05-0.1 % | |
MORBILITA' | emorragia 15% lesione n.femorale 12% lesione vescicale 0.5% lesione ureterale 0.4% |
8.3% 2% |
PAIN SCORE | 5-8 | 4-6 |
Considerazioni anestesiologiche
PREOPERATORIO Spesso si tratta di pazienti in buone condizioni generali. Nell'anamnesi è comunque spesso presente una storia di metrorragia e dunque occorre fare attenzione all'emocromo e allo stato di idratazione ed elettrolitico della paziente. Premedicazione della veglia: Tavor 10-20 gtt. la sera e la mattina dell'intervento solo in pazienti di età < 70a. |
INTRAOPERATORIO
EMODILUIZIONE | come da protocollo |
PREMEDICAZIONE | standard. |
TECNICA ANESTESIOLOGICA | AP + AG o AG. Il cateterino verrà posizionato a livello di L1-2 o L2-3 e verrà iniettato un bolo di 8-10 ml di Lido. 2%. Il livello di anestesia da raggiungere è T6 - T8 |
INDUZIONE | standard con propofol |
POSIZIONAMENTO | Attenzione a eventuali punti di compressione e protezione oculare. La posizione litotomica può causare lesioni al nervo peroneale. |
MANTENIMENTO | Nel caso di sola AG: infusione continua di propofol e remifentanil. Nel caso di AG+AP: infusione peridurale continua di Marc.0.3% a 6ml/h + propofol. |
RICHIESTA DI SANGUE | Di solito è sufficiente il sangue prelevato all'inizio dell'intervento. Nel caso di pazienti anemizzate richiedere 2 unità di sangue |
ACCESSI VENOSI | 1-2 cateteri 16 G |
MONITORAGGIO | standard. Valutare caso per caso l'opportunità di monitorizzare la pressione arteriosa in maniera cruenta. |
RISVEGLIO | generalmente in S.O. |
COMPLICANZE | emorragia |
POSTOPERATORIO
COMPLICANZE | emorragia - nausea e vomito |
ANALGESIA POST-OPERATORIA | Infusione peridurale continua con Marc.0.3% a 6 ml/h e/o Meperidina IM 50 mg/6h e Diclofenac 75 mg /8h |
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