ISSN 1080-3521
EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY
and
CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -
Il giornale Italiano online di anestesia Vol 9 No 05 Maggio 2004
Vincenzo Lanza, MDServizio di Anestesia e RianimazioneOspedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, ItalyE-mail: lanza@mbox.unipa.it |
Keith J Ruskin, MDDepartment of Anesthesiology Yale University School of Medicine333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USAE-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu |
Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine |
La redazione di Esia-Italia dedica
alcuni suoi numeri alla pubblicazione dei lavori che hanno costituito parte del
materiale didattico del Corso "Problemi Cardiologici in Anestesia e Terapia
Intensiva" tenutosi nel Marzo 2003 presso il CEFPAS (Centro per la Formazione
Permanente e l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario) sito in
Caltanissetta (Sicilia). Questo è uno dei corsi organizzati in collaborazione
con la FEEA (Fondazione Europea di Insegnamento in Anestesiologia) e rappresenta
uno dei diversi momenti formativi di un vasto percorso didattico che spazia
ampiamente tra le diverse aree di interesse nel campo dell'Anestesia e della
Terapia Intensiva.
In futuro Esia-Italia ospiterà altri iter formativi monotematici nella certezza
di incontrare la continua necessità di studio dei suoi Lettori che potranno così
soddisfare in modo sempre gratuito e immediato le proprie esigenze di formazione
anche non spostandosi dal proprio posto di lavoro.
dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN
ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS
1 I FARMACI NELL'ARRESTO CIRCOLATORIO
2 NUOVI ANTIARITMICI: IMPLICAZIONI PER L’ANESTESISTA RIANIMATORE
3 VASODILATATORI ED IPOTENSIONE CONTROLLATA
4
INTERAZIONI FARMACOLOGICHE IN ANESTESIA: I CALCIO
ANTAGONISTI
_______________________________________________________
I FARMACI NELL'ARRESTO CIRCOLATORIO
_______________________________________________________
O. Choquet, P. Goldstein
DEFINIZIONE
Il crescente interesse per la fisiopatologia ed il trattamento dell'arresto cardio-respiratorio
deriva non solo dal fatto che l'anestesista è coinvolto nella rianimazione specialistica
extra-ospedaliera, ma anche dall'incidenza di arresti cardio-respiratori durante l'anestesia, soprattutto in fase
di risveglio. Questa frequenza è di 1/433 anestesie, con una mortalità del 79% nello studio
francese realizzato dall'INSERM dal 1978 al 1982 [25,44]. Anche quando l'arresto cardio-respiratorio
si verifica in sala operatoria, dove il materiale e i farmaci necessari sono
immediatamente disponibili, il successo della rianimazione dipende soprattutto dalla rapidità della diagnosi,
dalla rapidità delle manovre essenziali di rianimazione e dal ripristino precoce del circolo
spontaneo. Su questo si basa l'unica speranza di recupero senza sequele delle funzioni vitali, in
particolare neurologiche. L'obiettivo che ci prefiggiamo è quello di puntualizzare le acquisizioni recenti e i numerosi
punti ancora dibattuti del trattamento farmacologico iniziale dell'arresto circolatorio dell'adulto. Si
fa riferimento prioritariamente alle nuove raccomandazioni proposte dall'American Heart
Association nell'Ottobre 1992 [23] ed alle raccomandazioni stabilite per la prima volta nel Novembre del
1992 dall'European Resuscitation Council [21,22].
L'OSSIGENO-TERAPIA
La sofferenza e la morte cellulare sono dovute al metabolismo anaerobico
conseguente all'esaurimento delle riserve energetiche della cellula. L'arresto circolatorio determina
anossia per ischemia. La bassa portata conseguente al massaggio cardiaco esterno (MCE) porta
ad ipoperfusione tissutale alla quale si aggiunge quella antecedente l'arresto e quella
relativa all'inizio della ripresa emodinamica. L'ipossia è aggravata dall'esistenza di uno
shunt intrapolmonare e da anomalie del rapporto ventilazione-perfusione. L'ipossia determina
acidosi metabolica che può compromettere gli effetti benefici del trattamento farmacologico e
della cardio-versione. Tra le cause di arresto cardio-respiratorio durante l'anestesia, le più
frequenti sono principalmente l'intubazione esofagea misconosciuta o un'altra defaillance
tecnica. Durante la rianimazione l'intubazione tracheale deve essere prioritaria ad ogni altra
alternativa. In effetti è la sola che assicura la pervietà delle vie aeree, permette l'aspirazione tracheale,
riduce il rischio di inalazione, costituisce una via di somministrazione per alcuni farmaci e
soprattutto assicura una ventilazione con
FiO2=1 con elevato volume corrente (10-15ml/Kg),[45]. La
misura della CO2 espirata con capnografia permette di confermare l'intubazione tracheale, riflette
la portata cardiaca durante MCE e riveste un interesse prognostico in merito
all'eventuale successo della rianimazione cardio-polmonare (RCP) iniziale [7]. Riguardo l'RCP
extra-ospedaliera, tale misura quantitativa della
FeCO2 si rivela difficile, tuttavia è possibile una
misura qualitativa grazie all'utilizzo di dispositivi monouso di rivelazione colorimetrica della
CO2 (End-Tidal CO2 Detector).
L'ADRENALINA
L'obiettivo della RCP è quello di assicurare la perfusione miocardica e cerebrale fino al
ripristino del circolo spontaneo. Tali flussi sono indispensabili per la ripresa dell'attività cardiaca e
la prevenzione delle sequele neurologiche. Con il MCE la portata cardiaca raggiunge il 15-50%
del valore normale. Tuttavia le pressioni arteriosa diastolica (PAD) e media (PAM) rimangono
basse a causa della vasodilatazione legata all'ipossia e all'acidosi. E' sperimentalmente provato
che l'aumento della PAD e della PAM, aumentando le pressioni di perfusione coronarica e
cerebrale, migliora i corrispondenti flussi ematici. Infatti, il gradiente di pressione tra aorta e atrio
destro rappresenta la determinante principale della perfusione miocardica, del ripristino del
circolo spontaneo e dunque del successo immediato della RCP. L'efficacia incontestabile
dell'adrenalina è attribuita ai suoi effetti simpatico-mimetici alfa e beta agonisti. Le sue proprietà alfa
agoniste provocano una vasocostrizione che interessa i territori extra-cardiaci ed extra-cerebrali,
cutanei muscolari e splancnici. Questa ridistribuzione della volemia aumenta i flussi cardiaco,
coronarico e cerebrale, amplificando gli effetti cardio-vascolari del MCE. L'effetto favorevole
dell'azione Beta-adrenergica è controverso: l'inotropismo può favorire teoricamente la ripresa cardiaca
e dare tono ad un cuore fibrillante, ma può altresì aumentare il lavoro cardiaco, ridurre la
perfusione sub-endocardica e favorire la comparsa di turbe del ritmo o di tachicardia dopo il ripristino
della circolazione spontanea [14]. Diversi lavori sperimentali e clinici hanno messo a
confronto l'adrenalina con altri farmaci simpatico-mimetici. Il vantaggio dei vasocostrittori
(Nor-adrenalina, Metoxamina, Fenilefrina) non è stato dimostrato.
Su un modello di arresto cardiaco prolungato, la dopamina è meno efficace dell'adrenalina nel migliorare l'emodinamica durante la rianimazione [34]. L'Isoprenalina e la Dobutamina favoriscono la ripresa dell'attività cardiaca, ma sono controindicate nella maggior parte dei casi perché riducono le pressioni di perfusione coronarica e cerebrale [24]. L'Adrenalina rimane dunque la catecolamina di base dell' RCP. Uno dei punti più discussi in questi ultimi anni riguarda la dose ottimale di adrenalina da somministrare. La dose standard proposta è un bolo di 1mg (10ml di una soluzione 1:10.000) per via venosa da ripetere ogni 3 minuti [3,5]. Questo dosaggio (0.01mg/kg circa) deriva da vecchi studi. Nel corso degli anni 80, lavori sperimentali e clinici condussero a pensare che la dose raccomandata doveva essere aumentata. Gli studi nell'animale mostrano che nell'arresto cardiaco prolungato, dosi di adrenalina da 0.045 a 0.020mg/kg sono necessarie per migliorare l'emodinamica, ripristinare la circolazione spontanea e finalmente aumentare il tasso di sopravvivenza [3, 28, 35]. All'inizio degli anni '90, la pubblicazione di casi clinici [27,39] e di studi clinici [18,20] confermano questi risultati sperimentali. Ciò conduce numerosi autori a proporre l'uso di alte dosi nella pratica clinica. Più recentemente sono stati pubblicati i risultati di studi multicentrici, prospettici e randomizzati [2, 5, 52, 53]. Callaham e Coll.[5] in uno studio condotto su 800 casi di arresto cardiaco verificatisi in ospedale, osservarono un tasso significativamente più elevato di ripristino del circolo spontaneo nel gruppo trattato con alte dosi di adrenalina (33%) in rapporto al gruppo trattato con dose standard (8%), il tasso di sopravvivenza però non mostrava differenze tra i 2 gruppi. Due studi randomizzati che raggruppano più di 1900 pazienti non hanno mostrato differenze significative tra le dosi standard e le alte dosi di adrenalina, per quanto riguarda il ripristino del circolo spontaneo, la sopravvivenza all'atto del ricovero e alla dimissione e il miglioramento dello stato neurologico nei sopravvissuti [2,52]. Questi risultati globalmente ingannevoli meritano sicuramente di essere approfonditi in alcuni casi. In particolare quando l'adrenalina è somministrata entro 10min. dall'insorgenza dell'arresto cardio-respiratorio (ACR). Brown e Coll. [2] osservarono un aumento del numero dei sopravvissuti al momento della dimissione nel gruppo trattato con alte dosi (23% versus 11%). Al contrario Stiell e Coll.[52] rilevarono un tasso minore di successi della RCP con alte dosi, quando l'adrenalina veniva somministrata dopo 10min. dall'ACR. Ulteriori studi sono necessari per stabilire quali gruppi di pazienti si potrebbero avvantaggiare di alte dosi. In conclusione da questi studi possono essere tratte un certo numero di osservazioni [23].
1) Le indicazioni all'adrenalina sono: l'assenza di risposta alla rianimazione
cardio-respiratoria iniziale, all'intubazione, alla ventilazione e alla defibrillazione precoce.
2) Il tasso di sopravvivenza rimane basso qualunque sia la dose utilizzata.
3) Riguardo la rianimazione extra-ospedaliera, l'adrenalina rappresenta un tentativo
disperato di resuscitare pazienti che hanno poche possibilità di sopravvivenza.
4) In ogni studio i sopravvissuti erano pazienti che avevano risposto alla defibrillazione
precoce e per i quali non vi era stata alcuna indicazione alla somministrazione di adrenalina.
Concludendo, l'adrenalina alla dose di 1mg e.v. è sempre il primo farmaco raccomandato nell'arresto circolatorio. Una dose maggiore (5mg, cioè circa 0.1mg/kg) è presa in considerazione quando la dose di 1mg ,iniettata in 3 riprese non ha agito [21].
BISOGNA ANCORA ALCALINIZZARE ?
L'eccessivo uso di bicarbonato (BS) predicato fino al 1986 è ancora oggetto di appassionate discussioni. Questo è dovuto alla rarità di studi clinici condotti sull'uomo, alla misconoscenza delle conseguenze dell'acidosi, e alla sovrastima iniziale della profondità dell'acidosi che si sviluppa durante l'ACR. Durante l'ACR l'ischemia e l'anossia sono responsabili di iperproduzione di H+ per esaurimento del pool di ATP intracellulare. A questa acidosi metabolica da deficit energetico, si aggiunge una acidosi respiratoria in relazione all'ipercapnia da arresto respiratorio. L'acidosi compromette la funzione miocardica riducendo l'attività cardiaca spontanea, la contrattilità, la soglia di fibrillazione ventricolare e la risposta emodinamica alle catecolamine. Essa può perpetuare le turbe del ritmo e aggravare la defaillance circolatoria che ostacola l'eliminazione della CO2 ematica durante l'ACR e in fase iniziale di rianimazione. Al contrario, l'iperventilazione contribuisce alla correzione dell'acidosi tissutale eliminando la CO2 che diffonde rapidamente attraverso la membrana alveolo-capillare. E' urgente correggere il deficit energetico cellulare che comporta l'eccesso di ioni H+ e assicurarne l'eliminazione. L'aspetto più importante del trattamento dell'acidosi è dunque ristabilire rapidamente una circolazione efficace associata ad una adeguata ventilazione alveolare [6, 29, 33]. Dai dati sperimentali e clinici emergono un serie di elementi sugli effetti nefasti della somministrazione di bicarbonato di sodio.
1) Il BS non aumenta l'efficacia della defibrillazione e non migliora il tasso di sopravvivenza nell'animale [17, 41]. Uno studio recente sugli arresti cardiaci extra ospedalieri ha mostrato un lieve miglioramento dell'equilibrio acido-basico senza miglioramento della sopravvivenza dei pazienti [1].
2) L'alcalosi metabolica indotta dal BS sposta la curva di dissociazione dell'Hb verso sinistra diminuendo così la disponibilità periferica dell'O2.
3) La somministrazione di BS espone in egual misura ad ipernatriemia. L'iperosmolarità riduce la pressione aortica e compromette la pressione di perfusione coronarica [36]. L'ipokaliemia può scatenare aritmie severe.
4) L'alcalosi extra-cellulare e arteriosa indotta dall'uso sistematico del BS diminuisce il flusso sanguigno cerebrale attraverso l'aumento delle resistenze arteriose cerebrali Può, inoltre, esacerbare l'acidosi venosa centrale se l'eccesso di CO2 prodotto non è eliminato da un'adeguata ventilazione.
5) L'inibizione da parte dell'acidosi metabolica dell'azione delle catecolamine somministrate a dosi elevate nell'arresto cardiorespiratorio e l'abolizione di tale inibizione con l'alcalinizzazione sono soltanto delle ipotesi. Le catecolamine sarebbero inattivate dalle soluzioni alcaline se perfuse sulla stessa via.
6) In presenza di ioni H+ il BS è trasformato in acido carbonico e successivamente in CO2 disciolta. Durante l'ACR il ritardo di eliminazione della CO2 conduce al suo accumulo plasmatico. La CO2 essendo molto più diffusibile del bicarbonato si accumula anche all'interno della cellula, provocando aggravamento dell'acidosi intracellulare. Questa acidosi tissutale paradossale comporterebbe acidosi del liquido cefalo-rachidiano deleteria per le funzioni neurologiche [50] e depressione miocardica soprattutto sul cuore ischemico [26]. Più recentemente Maldonado e Coll. hanno mostrato nell'animale da esperimento che la gravità dell'ipercapnia è un elemento peggiorativo per il ripristino del circolo spontaneo durante la rianimazione dell'ACR [38].
La somministrazione di BS conserva le sue indicazioni in caso di acidosi metabolica preesistente e di iperkaliemia. Il beneficio della sua somministrazione precoce è possibile ma non provato in caso di ACR prolungato (>10min) o di rianimazione di lunga durata. Tale somministrazione si concepisce soltanto dopo la messa in atto delle seguenti manovre: defibrillazione, MCE, intubazione-ventilazione, somministrazione ripetuta di adrenalina. La dose iniziale raccomandata è di 1mEq/kg, seguita da una dose di 0.5mEq/kg ogni 10min. Gli altri alcalinizzanti come il Tham e il Carbicard che esercitano il loro potere tampone senza produrre CO2 sono probabilmente interessanti, ma non hanno dato prova della loro superiorità. Tuttavia quando una patologia polmonare preesistente o causa dell'ACR compromette la depurazione alveolare della CO2 con la ventilazione artificiale, la preferenza può andare al Tham.
IL CALCIO
Lo ione calcio, gioca un ruolo essenziale nella regolazione della contrazione miocardica e nel mantenimento del tono vascolare [57], attraverso l'accoppiamento eccitazione-contrazione a livello di fibra muscolare. Fino agli ultimi anni il calcio è stato largamente utilizzato soprattutto in corso di dissociazione elettromeccanica ed eventualmente in caso di asistolia per le sue proprietà inotrope positive. Tuttavia dati sperimentali e l'assenza di una evidenza clinica in suo favore controindicano il suo uso sistematico.
1) I tassi serici osservati dopo somministrazione di calcio sono pericolosamente elevati e suscettibili di provocare turbe del ritmo oppure una dannosa vasocostrizione coronarica o cerebrale [13].
2) Numerosi lavori sperimentali hanno dimostrato l'accumulo di calcio nella cellula ischemica, da cui prenderebbe origine lo sviluppo di lesioni cellulari post-anossiche irreversibili [61].
3) Alcuni studi riportano l'effetto protettivo dei calcio-antagonisti nel corso dell'ischemia globale. Al contrario, studi recenti hanno dimostrato l'esistenza frequente di una concentrazione di calcio ionizzato molto bassa durante l'arresto cardiaco e immediatamente dopo la rianimazione [4, 56]. Il meccanismo di questa riduzione del calcio ionizzato e le sue conseguenze sull'efficacia dell'RCP rimangono incerti. Nonostante ciò la somministrazione di calcio in tali pazienti sembrerebbe giustificata [2]. Cheung e Coll.[10], hanno osservato che le cellule possono presentare lesioni anossiche severe senza aumento del calcio intracellulare. L'aumento del calcio intracellulare potrebbe dunque accompagnare le lesioni cellulari e non provocarle [3].
L'effetto benefico dei calcio-antagonisti sarebbe legato ad un miglioramento del microcircolo piuttosto che a un effetto cellulare protettivo diretto [57]. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, la somministrazione routinaria di calcio nell'adulto non può essere raccomandata tranne in caso di iperkaliemia, ipermagnesemia, depressione miocardica da calcio-antagonisti, ipocalcemia acclarata. Quest'ultima condizione può riscontrarsi in caso di ipoparatiroidismo, di insufficienza renale, di pancreatite, di trasfusioni massive di emoderivati. In sala operatoria ciò si osserva più spesso nella chirurgia maggiore, nel politraumatizzato grave o in caso di trapianto epatico [50]. Il calcio può essere somministrato sotto forma di cloruro o di gluconato di calcio. Le due soluzioni sono al 10% e di analoga efficacia [12]. La dose raccomandata di 2-4mg/kg può essere ripetuta se necessario 10min. dopo.
ALTRI TRATTAMENTI FARMACOLOGICI
L'atropina è il trattamento di scelta in caso di bradiaritmia sintomatica. Una dose totale di 3mg (0.04mg/kg) realizza un blocco vagale completo [9]. L'asistolia nel corso dell'arresto circolatorio può accompagnarsi ad aumento del tono vagale [58]; infatti in caso di asistolia è raccomandata dall'European Resuscitation Council, la somministrazione sistematica di atropina in unico bolo alla dose di 3mg [21]. Nell'ACR, l'indicazione all'uso di antiaritmici (Lidocaina, Tosilato di Bretilio, Amiodarone) è limitata alla tachicardia ventricolare con compromissione emodinamica e alla fibrillazione ventricolare refrattaria alla defibrillazione precoce. Fino ad oggi nessun farmaco assicura il controllo della fibrillazione ventricolare in maniera sicura ed efficace [58]. La lidocaina il cui effetto depressivo miocardico è il meno pronunciato tra gli antiaritmici, è raccomandata come antiaritmico di prima intenzione in caso di FV persistente o recidivante malgrado ripetuti tentativi di defibrillazione e dopo insuccesso dell'adrenalina. Gli effetti prodotti, tuttavia sono potenzialmente più deleteri che benefici. In effetti, la lidocaina eleva sperimentalmente la soglia di defibrillazione, l'energia necessaria alla defibrillazione e aumenta l'incidenza di asistolia dopo defibrillazione [9]. La dose iniziale di 1.5mg/kg è seguita eventualmente da altri boli da 0.5 a 1.5mg/kg ogni 10min, per una dose complessiva che non deve superare i 3mg/kg. Il Bretilio potrebbe teoricamente essere superiore alla Lidocaina in caso di FV refrattaria [59]. In assenza di studio clinico che confermi questa superiorità, il Tosilato di Bretilio è proposto in seconda intenzione di fronte a una FV refrattaria alla defibrillazione, all'adrenalina e alla Lidocaina. Il suo meccanismo di azione complesso comprende una liberazione di catecolamine seguita da un blocco adrenergico post-gangliare che induce frequentemente ipotensione arteriosa persistente. La dose è di 5mg/kg in bolo endovenoso, poi 10mg/kg ogni 5min. senza superare i 35mg/kg. L'esistenza di un deficit di Mg si associa a turbe del ritmo cardiaco, a segni di insufficienza cardiaca e alla comparsa di ACR [54]. In caso di fibrillazione o di tachicardia ventricolare refrattaria, l'ipomagnesiemia, quando esiste, deve essere corretta con la somministrazione ev. lenta di 1-2g di solfato di Mg. Questo può provocare ipotensione arteriosa significativa o una asistolia. Il Mg è comunque considerato come trattamento di scelta delle torsioni di punta.
SOLUTI DI PERFUSIONE
Escludendo l'arresto circolatorio per grave ipovolemia, l'embolia polmonare massiva, o l'infarto del ventricolo destro, il riempimento vascolare è controindicato perché riduce le perfusioni regionali cerebrale e miocardica [14]. Al contrario di fronte ad un ACR per ipovolemia, la rianimazione cardio-polmonare convenzionale deve essere obbligatoriamente completata con un riempimento vascolare massivo sempre associato all'adrenalina. In fase extra-ospedaliera, questo riempimento si basa sulle gelatine fluide modificate. L'uso del pantalone anti-shock ad alte pressioni è preconizzato [47]. In un prossimo futuro i soluti ipertonici iperoncotici troveranno un impiego di scelta nel trattamento iniziale dello shock emorragico [30]. Allo stato attuale delle conoscenze, l'uso di questi soluti misti, non può essere preconizzato in un quadro di trattamento di un ACR di origine ipovolemica. La perfusione di una soluzione glucosata è abituale per mantenere una via venosa. Ciò deve essere rimesso in discussione [37,62] perché è sperimentalmente dimostrato, che in caso di bassa portata, la glicogenolisi anaerobia aggravata dall'ipercatecolaminemia devia il glucosio verso la via dei lattati. Il loro accumulo a livello del SNC, come pure l'acidosi e l'edema compromettono il futuro neurologico. Nell'uomo, l'iperglicemia >17mMoli/l durante rianimazione dell'ACR e al momento del ricovero in ospedale è indice di prognosi sfavorevole. Il tasso glicemico è proporzionale alla durata della rianimazione e alla dose totale di adrenalina somministrata [48]. Ulteriori somministrazioni di glucosio sono da proscrivere a causa della costante presenza di iperglicemia, salvo in caso di ipoglicemia documentata. La soluzione salina isotonica è dunque preferibile rispettando le regole di restrizione idrica. Un'attenzione particolare deve essere rivolta al controllo della glicemia per tutta la durata della rianimazione cardio-polmonare.
VIE DI SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI
Esclusa la Fibrillazione ventricolare che si deve avvalere senza alcun indugio della cardioversione, l'asitolia e tutte le turbe del ritmo emodinamicamente inefficaci necessitano immediatamente la messa in atto del MCE, dell'IOT e dell'incannulamento di una via venosa per somministrare l'adrenalina. La vena periferica (vena superficiale dell'arto superiore o vena giugulare esterna) deve essere prioritaria perché l'accesso venoso periferico è semplice e rapido e non necessita dell'interruzione del MCE. I farmaci impiegano 1-2min. per raggiungere il compartimento centrale. Bisogna favorire l'arrivo dell'adrenalina nel compartimento centrale iniettando 20ml di soluzione salina isotonica e sollevando l'arto. La vena centrale consente un tempo di transito del bolo rapido, 30" e un picco di concentrazione più elevato della vena periferica, ma tuttavia il suo incannulamento può essere più lungo, pericoloso e più difficile. In un paziente ospedalizzato con vasi periferici compromessi, la giugulare interna deve essere preferita alla succlavia che espone al rischio di pneumotorace e contrasta con il MCE. La vena femorale non è da prendere in considerazione perché i picchi di concentrazione osservati sono più aleatori e più tardivi [16]. La via endotracheale permette la somministrazione di adrenalina, di atropina e di lidocaina per supplire temporaneamente l'accesso venoso quando quest'ultimo risulta difficile. Le dosi prestabilite devono essere triplicate in rapporto a quelle utilizzate per via endovenosa. Il farmaco impiegato è diluito in 10ml di soluzione salina isotonica e iniettato all'estremità del tubo endotracheale attraverso un catetere o una sonda di aspirazione. Alcune insufflazioni forzate favoriscono il riassorbimento polmonare. Il MCE è interrotto durante tutta la manovra. Gli oppositori di tale via lamentano la presenza di picchi sierici più bassi, più tardivi o in certi casi l'assenza totale di modificazione dei tassi plasmatici di adrenalina osservati [46]. La via vascolare intraossea è nel bambino, una eccellente alternativa all'incannulamento venoso. Questa via non è stata valutata nell'adulto. Le dosi prestabilite sono analoghe a quelle endovenose e la sua esecuzione richiede materiale adatto. La via sub-linguale è stata proposta recentemente come ultima sede di somministrazione quando le altre vie si rivelano inaccessibili. In un caso clinico (bambino in ACR) il ripristino del circolo spontaneo è stato ottenuto dopo la somministrazione sub-linguale di adrenalina e di atropina [49]. Il ricorso alla via sub-linguale nell'adulto non è stato a tutt'oggi applicato. La via intracardiaca è traumatica, cieca e brutale: è una pugnalata su un cuore fermo. Deve essere proscritta perché responsabile di lesioni coronariche, di emopericardio, di pneumotorace, di FV per iniezione intramurale. Inoltre essa richiede l'interruzione del MCE e della ventilazione.
LA PROTEZIONE CEREBRALE
Più del 60% dei pazienti vittime di ACR e inizialmente rianimati con successo presentano sequele neurologiche gravi [36]. Ciò a sottolineare l'importanza del trattamento preventivo dell'encefalopatia post-anossica. Questa condizione è stata oggetto di studi recenti [31,48]. I punti essenziali del trattamento poggiano su alcune misure aspecifiche. L'essenziale per una prognosi neurologica favorevole risiede nella precocità e qualità della rianimazione. L'efficacia di alcune misure aspecifiche è indiscutibile e la loro applicazione si impone sin dal recupero di un circolo spontaneo: mantenimento della pressione di perfusione cerebrale con il controllo emodinamico, normoventilazione con ipocapnia ed iperossia moderati, normotermia, controllo rigoroso della glicemia, trattamento del dolore, dell'agitazione e delle convulsioni. Altre modalità terapeutiche sembrano interessanti sperimentalmente e meriterebbero di essere valutate clinicamente; si tratta dell'ipotermia moderata (nell'ordine di 34°C) [55,60], e dell'associazione di una ipertensione arteriosa leggera con una emodiluizione moderata (ematocrito al 20-25%) [32]. Numerose molecole sono state proposte e valutate come agenti neuroprotettori specifici. I cortisonici non presentano alcun interesse e il Tiopentone conserva come unica indicazione lo stato di male convulsivo dell'encefalopatia post-anossica. I calcio-antagonisti in particolare la Nimodipina, hanno suscitato grande interesse perché sperimentalmente, la loro somministrazione in corso di ischemia cerebrale globale si accompagna ad un miglioramento della prognosi neurologica. Gli studi clinici condotti nell'ACR e lo studio multicentrico Europeo ERNST, i cui risultati definitivi saranno divulgati alla fine del '93, non confermano questi risultati [48]. Infine gli inibitori dei recettori NMDA, dopo risultati promettenti sull'animale, vedono la loro applicazione nella ricerca clinica frenata a causa della loro tossicità [43,48].
CONCLUSIONE
Il dibattito oggi è imperniato su 2 obiettivi. In effetti i nuovi protocolli di trattamento permettono
di fare ripartire il cuore, ma dopo? Questo duplice obiettivo è quello del servizio sanitario
pubblico: informare la popolazione sui segni dell'ACR, sulle prime manovre da effettuare, e
probabilmente anche sulla defibrillazione manuale. E' dunque necessario impegnarsi su tutto quello che va
fatto prima dell'intervento medico. Altro obiettivo è quello della ricerca che consentirà infine di
definire le reali modalità di protezione cerebrale.
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NUOVI ANTIARITMICI: IMPLICAZIONI PER L’ANESTESISTA RIANIMATORE
_______________________________________________________
J.E. De La Coussaye, B. Bassoul, P. Richard, J.J. Eledjam
Punti
essenziali
|
Benché siano numerose le molecole antiaritmiche attualmente testate sull’animale ed in studi clinici non ci sono a dir vero nuovi anti aritmici recentemente commercializzati. Nonostante ciò, gli ultimi dieci anni hanno visto l’inclusione di nuove sostanze quali gli anti-aritmici di classe Ic, rappresentati in Francia dalla Flecainide, Propafenone e la Cibenzolina. Allo stesso modo i B-bloccanti che hanno un azione anti-aritmica reale hanno visto l’allargamento delle proprie indicazioni. In effetti, i B-bloccanti fanno parte di quelle poche sostanze che diminuiscono realmente il rischio di morte improvvisa dopo infarto . Infine la comparsa di una forma iniettabile di Diltiazem ha permesso di utilizzare tale sostanza per il trattamento delle turbe del ritmo sopraventricolari. La farmacologia e gli effetti secondari della flecainide, del Propafenone, della Cibenzolina, dell’Esmololo e del Diltiazem saranno quindi brevemente esposti. Infine saranno tratteggiate le interferenze potenziali di questi anti-aritmici con gli anestetici generali e locali.
1. FARMACOLOGIA DEI NUOVI ANTI-ARITMICI
1.1. Richiami
della classificazione di Vaughan Williams
La classificazione di Vaughan Williams è, come tutte le
classificazioni, soggetta a critiche. Essa si basa sugli effetti
elettrofisiologici cellulari degli anti-aritmici sull’organo isolato. In più una
stessa sostanza può avere un meccanismo d’azione che permette di includerla in
più di una classe. Ciononostante, questa classificazione, riassunta in tabella
I, resta la più comunemente accettata .
Tabella I. Classificazione di Vaughan Williams | |||
Classe I: inibizione
dei canali rapidi del sodio (riduzione della Vmax dei potenziali d’azione
rapidi) = diminuzione della velocità di conduzione, dell’eccitabilità,
dell’automatismo.
Sottogruppo
Ia
Sottogruppo
Ib
Sottogruppo
Ic
|
Classe II: Beta-bloccanti
|
Classe III: possibile interferenza con gli scambi Ca-Na, diminuzione del flusso di potassio iK (amiodarone, bretilio, sotalolo)
|
Classe IV: inibitori dei canali lenti del calcio
|
1.2 Antiaritmici della classe Ic
1.2.1. Generalità
L’effetto
comune di tutti gli antiaritmici della classe I è di diminuire la velocità
massima di depolarizzazione (Vmax) della fase 0 dei potenziali d’azione delle
cellule a risposta rapida (atri e ventricoli) per inibizione dei canali rapidi
del sodio. La riduzione della Vmax è responsabile del rallentamento delle
velocità di conduzione in queste strutture. In rapporto agli anti-aritmici dei
sottogruppi Ia e Ib, le molecole della classe Ic si caratterizzano per un blocco
fasico più importante . Questo significa che più la frequenza cardiaca è elevata
più gli anti-aritmici di classe Ic rallentano la velocità di conduzione. Questo
effetto si esplica per una cinetica di fissazione e di liberazione più lenta a
livello dei recettori dei canali del sodio [3,28]. Questi sono quindi degli
anti-aritmici potenti e spesso molto efficaci [25].
1.2.2. Flecainide
Effetti elettrofisiologici (tab. I). La
flecainide agisce a tutti i livelli e può deprimere la funzione sinusale [5].
Determina un allungamento del PR e un allargamento del QRS senza alterazioni
maggiori della ripolarizzazione ventricolare rappresentate
sull’elettrocardiogramma dall’intervallo jT. Infine la flecainide eleva la
soglia di stimolazione dei pace-makers impiantati e può richiedere la loro
riprogrammazione.
Effetti emodinamici: La
flecainide ha scarsi effetti emodinamici nel soggetto sano. Al contrario
nell’insufficienza cardiaca la frazione d’eiezione può essere diminuita del 20%
.
Indicazioni: La flecainide è molto
efficace nel ridurre e prevenire le turbe del ritmo atriale e ventricolare nel
cuore sano . E’ ugualmente efficace nelle tachicardie giunzionali con o senza
via accessoria.
La biodisponibilità relativa della flecainide è buona per via
digestiva. Il picco di concentrazione plasmatica si ottiene tra la 2a e la 4a
ora. L’emivita di eliminazione è lunga (12 ore nel soggetto sano e 30 ore nel
paziente con insufficienza cardiaca) . L’eliminazione è epatica e renale. La
dose deve quindi essere ridotta in caso di insufficienza renale. Per via venosa
la dose abituale è da 1 a 2 mg.Kg-1 somministrati in 20 minuti. Per via orale,
la dose è compresa tra 100 e 300 mg/die in due somministrazioni. Nel malato con
insufficienza cardiaca o affetto da turbe della conduzione è consigliabile
cominciare con 100mg in due somministrazioni. I tassi terapeutici sono compresi
tra 0.2 e 1 mcg.ml-1. In corso di trattamento la sorveglianza dell’allargamento
del QRS è fondamentale. Ogni aumento uguale o superiore a 40 ms impone la
riduzione della dose .
Effetti secondari:
Come tutti gli anti-aritmici potenti la flecainide può determinare effetti
indesiderati gravi. Può trattarsi di effetti proaritmogeni, di turbe della
conduzione a riposo o sotto sforzo e di blocchi atrio-ventricolari in caso
di preesistenti alterazioni della conduzione. Si può ugualmente scompensare
un'insufficienza cardiaca. Benché sia stato dimostrato sperimentalmente un
effetto cardioprotettore degli anti-aritmici della classe Ic sul miocardio
ischemico, la flecainide è inefficace nel prevenire la morte improvvisa
post-infarto. In effetti lo studio CAST dimostra una mortalità più elevata nel
gruppo dei trattati che nel gruppo placebo. La flecainide può essere
responsabile di disturbi digestivi, di vertigini, di tremori e disturbi visivi.
Infine essa aumenta il tasso plasmatico di digossina e, associata al
propanololo, si constata un’elevazione dei tassi plasmatici di entrambi i
farmaci.
1.2.3.
Propafenone
Effetti elettrofisiologici (tab.
I). Il propafenone ha effetti modesti tipo classe II e IV. Rallenta la
velocità di conduzione nei fasci accessori e può innalzare la soglia di
stimolazione dei pace-makers. In più determina una bradicardia sinusale, allunga
l’intervallo PR (AH e HV) ed allarga il QRS. D’altra parte l’intervallo jT non è
modificato [30].
Effetti emodinamici: Il
propafenone ha scarsi effetti emodinamici sul cuore sano. Diminuisce in maniera
modesta la contrattilità, la pressione arteriosa e la gittata cardiaca. Questi
effetti sono più spiccati nell’insufficienza cardiaca preesistente
[12].
Indicazioni: Il propafenone è
utilizzato nel trattamento e nella prevenzione delle turbe del ritmo
sopraventricolari, ventricolari e nella sindrome di Wolff-Parkinson-White
[4,12,28]. Dopo somministrazione orale, il propafenone subisce un effetto di
primo passaggio epatico, variabile da soggetto a soggetto, talché un debole
aumento della dose può determinare un’elevazione importante dei tassi
plasmatici. Il picco plasmatico si ottiene tra la 2a e la 3a ora. L’emivita di
eliminazione è di 7-8 ore ed il metabolismo è essenzialmente epatico. La dose
dovrà essere diminuita in caso di insufficienza epatica, renale o cardiaca. La
dose per via venosa lenta è di 1 a 2 mg.Kg-1. La dose per via orale varia da 450
a 1200mg. In genere è di 900 mg in tre somministrazioni (concentrazioni
terapeutiche: da 0.5 a 1.5 mcg.ml-1).
Effetti
secondari: Il propafenone ha gli stessi effetti indesiderati degli
altri anti-aritmici di classe Ic.
1.2.4. Cibenzolina.
Effetti elettrofisiologici: La cibenzolina ha effetti
frontiera tra la classe Ia e Ic. Possiede tra l’altro un effetto classe IV in
vitro e in vivo. E’ discretamente vagolitico. Rallenta nettamente la velocità di
conduzione nel sistema di His-Purkinje, il miocardio ventricolare e allunga il
periodo refrattario del ventricolo. La conduzione intraatriale ed intranodale
sono poco modificate. Infine, la cibenzolina rallenta la conduzione lungo le vie
accessorie ed induce talvolta una discreta accelerazione della frequenza
cardiaca, un allargamento del QRS e un allungamento dell’intervallo
QT.
Effetti emodinamici: Per via venosa la
cibenzolina determina una riduzione modesta della contrattilità nel soggetto
sano. Questo effetto può essere più spiccato nel paziente con insufficienza
cardiaca. La cibenzolina è in generale ben tollerata per via orale.
Indicazioni: La cibenzolina è attiva nel trattamento
e nella prevenzione delle aritmie sopraventricolari, ventricolari e nella
sindrome di Wolff-Parkinson-White. La biodisponibilità relativa per via orale è
elevata, senza effetto di primo passaggio epatico. Il picco plasmatico si
ottiene al 90° minuto. L’emivita di eliminazione va da 4 a 5 ore circa ma può
essere maggiore di 7 ore nel paziente con insufficienza cardiaca e nella fase
acuta dell’infarto del miocardio. L’eliminazione è essenzialmente renale. In
caso di insufficienza cardiaca o renale le dosi devono quindi essere diminuite.
Per via venosa la dose è di 1 mg.Kg-1 in 2 minuti, poi 8 mg.Kg-1.24h-1 in
perfusione continua. La dose abituale per os è da 4 a 6 mg.Kg-1/die in tre
somministrazioni (concentrazioni plasmatiche terapeutiche: da 0.3 a 0.4
mcg.ml-1).
Effetti secondari: La
cibenzolina può determinare turbe della conduzione, effetti proaritmogeni e
scompensare un’insufficienza cardiaca. Come tutti gli anti-aritmici di classe I
è responsabile di disturbi digestivi o neurologici minori.
1.3.
Esmololo
I B-bloccanti agiscono per inibizione
competitiva dei recettori B-adrenergici. L’esmololo è un bloccante
cardioselettivo a breve durata d’azione, privo di attività simpaticomimetica
intrinseca, né proprietà stabilizzanti di membrana.
Effetti elettrofisiologici. Gli effetti
elettrofisiologici ed elettrocardiografici dell’esmololo sono quelli dei
B-bloccanti (tabella
I). Allunga quindi i periodi refrattari del nodo atrio-ventricolare,
sopprime i postpotenziali indotti dalle catecolamine ed eleva la soglia di
fibrillazione delle cellule ischemiche.
Effetti
emodinamici. Come gli altri B-bloccanti l’esmololo diminuisce la
frequenza e la gittata cardiaca, la contrattilità miocardica e la pressione
arteriosa.
Indicazioni. L’esmololo ha le
stesse indicazioni degli altri B-bloccanti, principalmente rappresentati dalle
tachicardie sopraventricolari. Riduce le tachicardie sinusali. Rallenta anche la
frequenza ventricolare in corso di tachicardie atriali che può talvolta
regredire. L’esmololo può ridurre le tachicardie giunzionali. Tuttavia è meno
efficace del propanololo ma più del verapamil e della digossina nel trattamento
delle tachicardie sopraventricolari. L’interesse principale di questa molecola dipende dalle sue
caratteristiche farmacocinetiche che permettono di utilizzarlo come relais
perioperatorio di un trattamento B-bloccante cronico, e soprattutto in chirurgia
emorragica. L’emivita di eliminazione dell’esmololo è di 9 minuti, il che lo
rende particolarmente maneggevole in fase perioperatoria . Non interferisce con
gli effetti della succinilcolina. La dose va da 100 a 500 mcg.Kg-1 somministrati
in un minuto e seguiti da una dose di mantenimento compresa tra 20 e 200
mcg.Kg-1.min-1.
Effetti secondari. Sono gli
stessi degli altri B-bloccanti. Dal punto di vista cardiologico consistono
nell’insorgenza di uno scompenso cardiaco, di un blocco atrio-ventricolare, di
una bradicardia e/o ipotensione. La breve durata d’azione permette di
minimizzare le conseguenze di questi effetti.
1.4.
Diltiazem
Gli anti-aritmici della
classe IV sono rappresentati dai calcio-antagonisti bloccanti i canali lenti
(ICL). Tre sono le sostanze utilizzate come anti-aritmici: verapamil, diltiazem
e bepridil.
Effetti elettrofisiologici.
Come gli anti-aritmici di classe I agiscono sui canali del sodio a seconda del
loro stato funzionale e della frequenza cardiaca; il diltiazem ha una grande
affinità per i canali del calcio aperti o allo stato inattivo. Ciò significa che
più la frequenza cardiaca è elevata più il diltiazem è efficace. L’attività
elettrofisiologica del Diltiazem si esplica quindi sul potenziale d’azione delle
fibre a risposta lenta (nodo seno-atriale e nodo atrio-ventricolare). Diminuisce
la Vmax della fase 0 e la pendenza della curva di depolarizzazione diastolica
lenta spontanea dei potenziali d’azione lenti. Ne risulta una depressione
frequenza-dipendente dell’impulso sinusale e della conduzione anterograda del
nodo atrio-ventricolare. Sulle strutture a risposta rapida (atri, His, Purkinje
e ventricoli), il diltiazem agisce a livello del plateau del potenziale d’azione
(fase 2), al quale conferisce un aspetto triangolare. Tuttavia non modifica la
velocità di conduzione a livello di questi tessuti. E’ quindi teoricamente privo
di azione antiaritmica atriale e ventricolare, a meno che le cellule siano
parzialmente depolarizzate e/o ischemiche [33].
Effetti emodinamici. Gli ICL diminuiscono le resistenze
vascolari sistemiche, la pressione arteriosa e la contrattilità. Questo effetto
inotropo negativo è meno spiccato con il diltiazem che con il verapamil ed il
brepidil [10,16].
Indicazioni. Il diltiazem
è particolarmente efficace nella riduzione delle tachicardie giunzionali
ortodromiche. Talvolta riduce le tachicardie atriali e rallenta la conseguente
risposta ventricolare rallentando la conduzione a livello del nodo
atrio-ventricolare.
Il diltiazem ha un emivita di eliminazione da due a sei
ore. E’ metabolizzato essenzialmente dal fegato. Esiste un metabolita attivo il
desacetildiltiazem, che, in caso di iniezione unica non è ritrovato in quantità
sufficiente a prolungare l’effetto del diltiazem. Infine, l’eliminazione del
diltiazem è renale, ma in caso di insufficienza renale severa, la sua emivita di
eliminazione non è modificata, a differenza del verapamil.
Effetti secondari. Contrariamente al verapamil, il
diltiazem non interferisce con la digitale. Può essere responsabile di una
bradicardia sinusale severa, di turbe della conduzione atrio-ventricolare e di
una insufficienza cardiaca in caso di sovradosaggio o di insufficienza cardiaca
preesistente.
2. NUOVI ANTIARITMICI ED EFFETTI SECONDARI DI ORIGINE CARDIACA
2.1. Influenze
emodinamiche
La maggior parte degli
anti-aritmici deprimono la contrattilità miocardica. L’effetto è tanto più
spiccato se l’antiaritmico è somministrato per via venosa o se la funzione
cardiaca è precedentemente alterata. In più lo stato emodinamico dipende dalla
loro azione diretta o indiretta mediata dal sistema autonomo sul tono vascolare
venoso o arterioso. Infine, l’efficacia degli anti-aritmici sulle turbe del
ritmo è da tenere presente. In effetti, in caso di insuccesso terapeutico, la
depressione miocardica indotta dall’anti-aritmico si somma allo squilibrio
emodinamico relativo alla turba del ritmo.
La depressione miocardica indotta
dagli anti-aritmici di classe I dipende dall’importanza del rallentamento della
conduzione ventricolare e dalla durata del blocco dei canali del sodio in
rapporto al ciclo cardiaco. Tale blocco è responsabile di una diminuzione della
liberazione di calcio necessario alla contrazione dal reticolo sarcoplasmatico.
A questa depressione partecipa pure l’alterazione dell’attività energetica del
cuore. L’effetto inotropo negativo è variabile in funzione del farmaco
utilizzato e del tipo di risposta del sistema nervoso autonomo. Tuttavia il
rischio di provocare o aggravare un’insufficienza cardiaca è stato stimato
intorno al 5% per i malati trattati con flecainide, ma questa insufficienza
interviene in maniera del tutto imprevedibile.
Gli effetti emodinamici dei
B-bloccanti consistono essenzialmente in una diminuzione della frequenza
cardiaca e dell’entrata di calcio nelle cellule per la riduzione del numero dei
canali del calcio disponibili. Determinano un aumento delle resistenze vascolari
sistemiche. Così essi modificano la capacità di adattamento del sistema
cardiovascolare e possono precipitare una insufficienza cardiaca. Tuttavia con
l’esmololo tale rischio è limitato dalla sua breve durata d’azione.
Il
diltiazem, come tutti gli ICL, deprime allo stesso modo la contrattilità
attraverso una riduzione dell’ingresso di calcio nelle cellule. Ciononostante,
l’effetto vasodilatatore diretto e la stimolazione ortosimpatica che determina
compensano parzialmente il suo effetto inotropo negativo
[24].
2.2. Turbe gravi della
conduzione
Le turbe della conduzione
indotte dagli anti-aritmici possono manifestarsi come bradicardia severa, blocco
senoatriale o atrio-ventricolare. Si riscontrano abitualmente in caso di
sovradosaggio assoluto o relativo in pazienti affetti da turbe di conduzione
preesistenti. Il tipo di alterazione dipende dalla classe di anti-aritmici
utilizzata. Gli anti-aritmici di classe I sono più spesso all’origine di blocchi
atrio-ventricolari infrahisiani ma anche di blocchi senoatriali per alterazione
della conduzione delle cellule perisinusali. Un elemento semplice di
sorveglianza del trattamento è costituito dall’allargamento del QRS che
testimonia direttamente il rallentamento della conduzione intra-ventricolare. I
B-bloccanti ed i calcio-antagonisti possono determinare blocchi
atrio-ventricolari soprahisiani, blocchi senoatriali o ritmo sinusale basso per
alterazione diretta dell’impulso sinusale.
2.3. Effetto proaritmico
L’effetto proaritmico degli anti-aritmici si determina per
il sopravvenire di turbe del ritmo più gravi di quelle all’origine della
prescrizione. La frequenza di questi accidenti è stata stimata intorno all’8% in
corso di trattamenti atti a prevenire le tachicardie o la fibrillazione
ventricolare. Teoricamente tutti gli anti-aritmici sono potenzialmente
aritmogeni ma questi accidenti interessano soprattutto gli anti-aritmici di
classe Ic (encainide, flecainide]. Dal momento che i meccanismi non sono
univoci, sono state invocate differenti cause. Esse comprendono l’aumento o la
diminuzione dei loro tassi ematici, una reazione idiosincrasica, una diskaliemia
o una dismagnesemia, un’interazione tra gli anti-aritmici e il SNA,
un’alterazione delle performances cardiache e/o del tono vascolare periferico.
Il meccanismo aritmogeno più verosimile sembrerebbe il rientro. Il rientro è
favorito dal rallentamento delle velocità di conduzione indotte dagli
anti-aritmici, all’origine dei blocchi funzionali [2,20]. Il propanololo ha dato
prova di efficacia nel trattamento degli effetti proaritmogeni da flecainide,
supportando inoltre l’ipotesi delle interazioni col sistema nervoso
autonomo.
3.
NUOVI ANTI-ARITMICI E INTERFERENZE CON GLI ANESTETICI LOCALI E
GENERALI
Gli agenti normalmente utilizzati in anestesia possiedono effetti elettrofisiologici ed emodinamici. Ciò presuppone che la scelta della tecnica di anestesia tenga conto del trattamento anti-aritmico in corso e della cardiopatia sottostante. Ciò presuppone allo stesso modo che di fronte al sopraggiungere di una turba del ritmo, la scelta dell’antiaritmico sia adattata al tipo di anestesia. Il non rispetto di queste precauzioni rischia di esitare in una associazione di effetti membranari che possono esprimersi in un aumento dell’effetto anti-aritmico con la comparsa o aggravamento di turbe della conduzione, in un aumento degli effetti cardiodepressori e/o nell’insorgenza di un effetto aritmogeno.
3.1
Alogenati
Gli alogenati sono
responsabili dell’insorgenza di aritmie cardiache i cui meccanismi non sono
univoci [31]. A concentrazioni superiori allo 0.5%, essi agiscono a tutti i
livelli in maniera dose dipendente alterando in modo non omogeneo le differenti
strutture [5-8,19]. A livello delle fibre lente (nodo del seno e nodo
atrio-ventricolare), provocano bradicardia e allungamento dell’intervallo PR.
Diminuiscono la Vmax della fase 0 dei potenziali d’azione lenti con allungamento
dei periodi refrattari del nodo atrio-ventricolare [17]. Questi effetti sono più
spiccati con l’alotano e l’enflurano, meno con l’isoflurano. Questi meccanismi
richiamano da vicino quelli dei calcio antagonisti, lasciando supporre un
potenziamento degli effetti [22].
I B-bloccanti agiscono a livello delle
stesse strutture. Invero, l’esmololo può teoricamente aggravare una bradicardia
e/o indurre un BAV soprahisiano. Tuttavia se questo potenziamento degli effetti
elettrofisiologici ed emodinamici è importante con il verapamil, sembrerebbe
meno marcato con il diltiazem. L’iniezione ev di diltiazem nel cane
anestetizzato con alotano allunga poco l’intervallo PR, diminuisce le resistenze
periferiche e polmonari ed aumenta discretamente la gittata cardiaca. In più,
nello stesso studio, si è osservato che il diltiazem diminuisce l’incidenza di
aritmie indotte dall’adrenalina. Nel paziente anestetizzato con alogenati, la
iniezione ev di diltiazem diminuisce la frequenza delle extrasistoli
ventricolari e rallenta la frequenza ventricolare nella fibrillazione
atriale.
A livello di atri e ventricoli, gli alogenati esercitano un’azione
diretta deprimendo le velocità di conduzione. Ozaki e coll. hanno confermato che
il rallentamento delle velocità di conduzione indotte dalla lidocaina era
proporzionale alla caduta della Vmax. Al contrario gli stessi autori hanno
osservato che il rallentamento delle velocità di conduzione indotte da alotano
ed enflurano non si accompagna da una riduzione così importante della Vmax.
Questa constatazione si allontana dalla teoria classica sulla relazione che
esiste tra la velocità di depolarizzazione e la velocità di conduzione. Ciò
significa che gli alogenati hanno scarsa attività sui flussi rapidi di ingresso
del sodio e rallentano la velocità di conduzione alterando la trasmissione
dell’impulso a livello delle comunicazioni intercellulari (gap-junctions) [21].
Un’attenzione tutta particolare deve essere posta agli operati trattati da lungo
tempo con gli anti-aritmici di classe I allorché si utilizzino gli alogenati. In
effetti dal momento che questi due tipi di molecole rallentano la conduzione
attraverso due meccanismi differenti, questo espone a un potenziamento degli
effetti e all’insorgenza di un blocco di conduzione. Questo rischio è stato
dimostrato in vitro durante l’associazione di chinidina ed alotano con un
effetto sinergico.
3.2. Oppioidi
Gli oppioidi, in particolare il fentanil, sono classicamente utilizzati
come agenti anestetici principali nei pazienti a rischio cardiovascolare
[13,18]. Frequentemente essi sono responsabili di una bradicardia la cui
patogenesi è controversa. Roister et coll. hanno evidenziato nel cane che
il fentanil determina una bradicardia dose dipendente, un allungamento della
conduzione atrio-ventricolare ed un aumento dei periodi refrattari a livello del
nodo AV e dei ventricoli. Recentemente BLAIR e coll. [14,15] hanno descritto con
il fentanil ed il sulfentanil un aumento della durata del potenziale d’azione
delle fibre del Purkinje. SAINI e coll. hanno evidenziato che il fentanil, nel
cane in anestesia, innalza la soglia di fibrillazione, maggiormente in caso di
shock emorragico. Questi studi suggeriscono che l’azione membranaria del
fentanil è innegabile. Tuttavia, il sistema nervoso autonomo sembra partecipare
a questi fenomeni. Infatti, l’implicazione
dell’arco baroriflesso può spiegarsi con il potenziamento dell’azione del
fentanil durante l’ipovolemia. Questa azione sarebbe, secondo gli autori, più in
rapporto ad una depressione del sistema simpatico che del sistema parasimpatico
. Il meccanismo d’azione degli oppioidi quindi, ricorda quello degli
antiaritmici della classe III e può potenziare gli effetti dei calcio
antagonisti e dei B-bloccanti. Tuttavia, gli effetti descritti in modelli
sperimentali si manifesterebbero solo con dosi elevate.
3.3.
Curari
L’effetto elettrofisiologico
dei miorilassanti è diverso a seconda delle molecole utilizzate. Il bromuro di
pancuronio si oppone alla bradicardia indotta dagli oppioidi così come alla
depressione che essi inducono sul nodo AV. Questa azione non sembra essere
mediata unicamente dal sistema nervoso autonomo . In effetti, anche se il
bromuro di pancuronio antagonizza la bradicardia indotta dall’acetilcolina, esso
elimina pure quella indotta dagli oppioidi a forti dosi, molto spesso
insensibile alla somministrazione di atropina. Sembrerebbe quindi che un’azione
di membrana diretta del bromuro di pancuronio sia all’origine di questo
antagonismo. Tuttavia, l’apparente sicurezza apportata da questo nei casi di
disfunzioni sinusali o atrio-ventricolari non deve far dimenticare la sua
potenziale aritmogenicità. In effetti, esso determina oscillazioni del
potenziale transmembranario con comparsa di postpotenziali. Questa
aritmogenicità si traduce nell’insorgenza di attività spontanea debole in
condizioni di base, eventualmente potenziata dall’adrenalina. Quest’azione
quindi, ricorda gli effetti dell’adrenalina sul potenziale di membrana in
presenza di digitale. Un accumulo di calcio potrebbe spiegare questo meccanismo
dal momento che è antagonizzato dai calcio antagonisti.
Il bromuro di vecuronio sembra abbia scarsi effetti
cardiovascolari. Cionondimeno, associato agli oppioidi, può aggravare la
bradicardia indotta e/o favorire l’insorgenza di un ritmo giunzionale o di un
blocco AV [27. Questo effetto è rafforzato dalla presomministrazione di calcio
antagonisti o B-bloccanti. La somministrazione
di neostigmina o edrofonio per antagonizzare i curari espone classicamente al
rischio di bradicardia sino ad un blocco AV. Queste turbe del ritmo sono più
frequenti nelle anestesie con fentanil e vecuronio e sono necessarie forti dosi
di atropina per antagonizzarle. Questa associazione dovrebbe, secondo il nostro
parere, essere evitata in casi di disfunzione sinusale e/o di turbe del ritmo
preesistenti. Lo stesso accade nei casi di trattamento cronico con gli
antiaritmici della classe Ic. Peraltro, i calcio antagonisti e gli anti-aritmici
della classe I possono potenziare l’azione dei curari.
3.4. Anestetici
locali
Gli anestetici locali hanno
un effetto diretto sulle vie di conduzione per le loro proprietà antiaritmiche
di classe I. Questi effetti sulla conduzione intranodale non si manifestano, di
regola, che in caso di sovradosaggio. Se è stato dimostrato che per la lidocaina
esiste un margine di sicurezza importante, non è probabilmente lo stesso per la
bupivacaina. Infatti se quest’ultima non aggrava una turba di conduzione
preesistente a dosi anestetiche [29], bisogna essere estremamente prudenti nella
sue indicazioni in questo tipo di malati. In effetti il blocco effettuato dalla
bupivacaina sui canali rapidi del sodio è più importante di quello della
lidocaina [26]. In più la bupivacaina inibisce i canali del potassio [23,32] e
del calcio. La lidocaina quindi deve essere preferita nei pazienti che assumono
anti-aritmici. E’ stato dimostrato un aggravamento dell’emodinamica e delle
velocità di conduzione nel cane anestetizzato che riceveva bupivacaina associata
ai B-bloccanti, ai calcio-antagonisti, ed agli anti-aritmici di classe I. Infine
il verapamil, più che il diltiazem, accentua gli effetti elettrocardiografici ed
emodinamici nel cane sveglio che riceve dosi "anestetiche" di bupivacaina a
differenza della lidocaina.
CONCLUSIONI
Gli
anti-aritmici di classe Ic sono potenti ed efficaci. Le loro indicazioni
rivelano quindi, a priori, un’aritmia potenzialmente grave e impongono che il
trattamento sia proseguito nel periodo perioperatorio. Per di più, in questi
malati, la scelta della tecnica anestetica sarà fatta tenendo conto
dell’interferenza degli anestetici con gli antiaritmici ed ancor più tenendo
conto della cardiopatia per la quale è stato istituito il trattamento.
Al contrario, allorché il trattamento anti-aritmico è
stato prescritto per un’aritmia benigna non sostenuta, la sua sospensione
transitoria può essere discussa. Tuttavia i B-bloccanti fanno eccezione a questa
regola. Infatti essi non devono mai essere interrotti. Perciò, laddove risulti
impossibile utilizzare la loro somministrazione per via orale, è essenziale
provvedere ad un equivalente per via parenterale.
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