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2 ANTIDOTI: quando, come e perchè
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Gli antidoti nel trattamento
dell'intossicato
Antidoti
che agiscono a livello del tratto gastroenterico
Altri
antidoti utilizzati in emergenza
Disponibilità
e uso degli antidoti in pronto soccorso
Gli antidoti nel trattamento
dell'intossicato
C. Locatelli, D. Maccarini, L. Manzo.
Gli antidoti sono sostanze che, con meccanismo aspecifico o specifico e per vie diverse, possono prevenire o limitare lassorbimento, lazione lesiva sui parenchimi o le alterazioni funzionali indotte dai veleni (Bozza-Marrubini et al, 1987).
In base a questa definizione anche
i catartici possono essere considerati antidoti veri e propri.
Gli antidoti, tuttavia, non sono molti; non esiste un antidoto
per ogni veleno e quindi il primo e fondamentale trattamento di
pazienti gravemente intossicati è sempre basato, con poche
eccezioni, sulla terapia sintomatica di rianimazione. Le
eccezioni sono rappresentate da quei farmaci che, con azione
immediata e specifica a livello recettoriale (antagonisti),
permettono di risolvere immediatamente un quadro tossico ben
definito.
Analizziamo ora le caratteristiche (indicazioni, posologia,
meccanismo dazione, modalità dimpiego, limiti e
controindicazioni) degli antidoti di più frequente impiego in
pronto soccorso.
Riportiamo infine una classificazione proposta dalla CEE
(Comunità Economica Europea) e dellOMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) riguardante la disponibilità degli
antidoti in ambito ospedaliero, regionale e nazionale, basata
sullefficacia e sullurgenza di impiego (IPCS/CEE,
1986).
Antidoti che agiscono a livello del tratto gastroenterico
Carbone
vegetale attivato
Il carbone
attivato è un adsorbente aspecifico di un gran numero di
sostanze, la cui precoce somministrazione previene
lassorbimento dei veleni presenti nello stomaco.
Viene preparato per pirolisi da polpa di legno, e viene quindi
"attivato" attraverso un particolare processo che
rimuove le sostanze precedentemente adsorbite, diminuisce la
grandezza delle particelle di carbone e produce in queste una
fitta rete di pori che risultano disponibili per il processo di
adsorbimento (Locatelli et al, 1989; Wanke, 1984).
Il carbone è una sostanza inodore e insapore, con unarea
di superficie di circa 1000 m2/g; poichè
ladsorbimento dipende dallarea di superficie, esso va
somministrato solo sotto forma di polvere (la formulazione in
compresse o cialde ne diminuisce la massa attiva). Il rapporto
ottimale antidoto/tossico è di 8-10 parti/1 parte.
Ladsorbimento è molto rapido nei primi minuti dopo la
somministrazione e le tossine vengono meglio adsorbite se si
trovano sotto forma di molecole non ionizzate; poichè
ladsorbimento interessa quasi tutte le sostanze (ad
esclusione di acidi e basi forti, acido borico, cianuro, solfato
ferroso, litio, alcool metilico ed etilico e altre molecole poco
ionizzate), è importante che il carbone attivato non venga mai
utilizzato contemporaneamente ad altri antidoti orali. Può
tuttavia essere somministrato insieme ai purganti salini (che non
diminuiscono lefficacia adsorbente del carbone) o a
sciroppo di sorbitolo al 70 %; questultima miscela sembra
anzi più attiva del carbone da solo (Locatelli et al, 1989).
Oltre alla capacità adsorbente del carbone attivato in dose
singola, il carbone attivato si è dimostrato molto efficace
anche mediante somministrazioni ripetute nel cosiddetto processo
di "dialisi gastrointestinale" che consente di
aumentare lescrezione di tossici già assorbiti che
presentano un ricircolo entero-epatico o entero-enterico
(Flomenbaum e Price, 1986; Howland, 1986; Neuvonen e Okkola,
1988; Rodgers e Matyunas, 1986; Wanke, 1984).
La posologia del carbone attivato, diluito in acqua in rapporto
1/4 e somministrato per os o attraverso sonda per lavanda, è di
1g/kg di peso corporeo; per ottenere il massimo effetto, esso
deve essere somministrato a dosi piene entro 30 minuti
dallingestione del tossico (Locatelli et al, 1989; Wanke,
1984).
Il carbone attivato non deve essere confuso con lantidoto
universale, nè con le semplici "compresse di carbone"
che non contengono, in genere, carbone "attivato"; esso
inoltre non deve essere somministrato prima dello sciroppo di
ipecacuana (o finchè questo non ha fatto effetto), poichè
potrebbe rendere inefficace lazione dellemetico.
Il carbone attivato può essere considerato un farmaco sicuro
(Wanke, 1984) e privo di effetti collaterali: solo raramente può
causare nausea e vomito, che possono tuttavia essere minimizzati
somministrando il farmaco molto lentamente. La sola
controindicazione alla somministrazione del carbone attivato è
rappresentata dallingestione di acidi e basi forti
(caustici), poichè esso non li adsorbe, si accumula nelle aree
di ustione rendendo difficoltosa la visione endoscopica e
rallentandone la cicatrizzazione (Flomenbaum et al, 1986; Knopp,
1979; Locatelli et al, 1989; Wanke, 1984).
Olio
di vaselina
Viene
somministrato in caso di ingestione di sostanze liposolubili, ma
i dati riguardanti la sua reale efficacia sono ancora
controversi. Esso non è assorbibile dalla mucosa intestinale:
probabilmente solubilizza le sostanze che si sciolgono nei grassi
prevenendone lassorbimento, diminuendone la concentrazione,
il potere irritante e la volatilità con il pericolo della
aspirazione nelle vie aeree. La somministrazione di olio di
vaselina (alla dose di 2-3 ml/kg di peso corporeo) deve essere
seguita dal purgante salino al fine di ottenere una veloce
espulsione della miscela con le feci. Le indicazioni sono
rappresentate dallingestione di idrocarburi, olii
essenziali, solventi organici e altre sostanze liposolubili
(Locatelli et al, 1989).
Olio di vaselina: preparazione aromatizzata per uso pediatrico * | |
olio di vaselina 78,0 g - gelatina 0,4 g - zucchero 12,7 g - acido citrico 0,3 g - acqua distillata 7,7 g - | |
aromatizzare con essenza di fragola e aggiungere colorante rosso. |
Dimeticone
(Mylicon)
Silicone
idrorepellente a bassa tensione superficiale. E indicato
nelle ingestioni di sostanze schiumogene: infatti, modificandone
la tensione superficiale, elimina le bolle che si formano a
livello gastrico per azione dei tensioattivi (Bozza-Marrubini et
al, 1987).
Sodio
tiosolfato (o iposolfito)
A livello
gastrico inattiva, alla dose di 250 ml al 5%: iodio, ipocloriti,
cromati, bicromati, clorati e permanganati (Bozza-Marrubini et
al, 1987). Viene impiegato, per via endovenosa, nella
intossicazione da cianuri, con cui reagisce formando tiocianato,
composto innocuo (vedi oltre).
Calcio
Impedisce
lassorbimento intestinale di fluoruri, acido ossalico e
ossalati, rendendoli insolubili (Bozza-Marrubini et al, 1987).
Lapplicazione di calcio in formulazione gel al 2,5% viene
utilizzata per le esposizioni cutanee ad acido fluoridrico.
Terra
di Fuller
Adsorbe
stabilmente e in misura superiore al carbone attivo (a livello
del tratto gastroenterico) il paraquat e gli altri erbicidi
dipiridilici. Viene usata in sospensione acquosa al 30% associata
a solfato di magnesio 5%, alla dose di 500-1000 mL in successive
porzioni refratte (Bozza-Marrubini et al, 1987).
Altri antidoti
Albume
duovo
Lalbume
duovo viene ritenuto utile nellingestione di sali di
metalli pesanti (si formano proteinati di metallo, insolubili) e
di caustici. Può essere preparato in soluzione acquosa (pozione
albuminosa: un albume in 100 ml di acqua) o lattea (pozione
latteo-albuminosa: un albume in 100 ml di latte) (Bozza-Marrubini
et al, 1987).
Amido
Lamido
inattiva, a livello gastrico, lo iodio, con formazione di ioduro
damido, composto di colore azzurro, insolubile. Viene
utilizzato somministrando 20-30 grammi di amido (di frumento, di
riso o di mais) sospeso in 300-400 ml di acqua o latte. Si può
utilizzare la stessa soluzione per la gastrolusi (Bozza-Marrubini
et al, 1987).
Blu di
Prussia
Il blu di Prussia
è un colorante (n° 77520 del Colour Index) che non viene
assorbito nel tratto gastroenterico e che viene utilizzato
esclusivamente per os nella intossicazione da tallio. Si lega al
tallio a livello intestinale, e agisce con duplice meccanismo:
interrompendone il circolo enteroepatico (diminuisce il
riassorbimento di tallio dallintestino del 70% circa) e
favorendone lescrezione fecale.
Viene utilizzato in sospensione per eseguire la lavanda gastrica;
al termine di questa manovra vengono lasciati nello stomaco il
purgante salino e 250 mg/kg di blu di prussia in 250 ml di acqua.
La somministrazione va quindi continuata con 250 mg/kg/24 ore
suddivisa in 3-4 porzioni refratte veicolate in mannitolo (adulti
e bambini di età superiore a 3 anni) o in soluzione glucosata al
5% (bambini sotto i 3 anni) fino a scomparsa del tallio da feci e
urine (Bozza Marrubini et al, 1987).
Altri antidoti utilizzati in emergenza
Antagonisti
Atropina
Antagonista specifico dellacetilcolina a livello delle
terminazioni parasimpatiche (muscariniche) e delle sinapsi
colinergiche centrali, trova indicazione nelle intossicazioni da
sostanze ad azione colinomimetica o anticolinesterasica: esteri
organo-fosforici, carbamati, alcuni funghi (genere Clitocybe e
Inocybe) (Bozza-Marrubini et al, 1987). La somministrazione di
atropina blocca le manifestazioni di ipertono parasimpatico
(sintomi muscarinici: bradicardia, miosi, salivazione,
ipersecrezione bronchiale, broncospasmo, ecc.) caratteristiche di
queste intossicazioni. Latropina va somministrata in dose
di 1-2 mg e.v. negli adulti e 0,05 mg/kg nei bambini; la dose va
ripetuta ogni 10-30 minuti fino a comparsa di segni di
atropinizzazione (blocco delle secrezioni) (Gelman e Conner,
1984). Tuttavia, poichè la comparsa delleffetto antidotico
è strettamente correlata al tipo di veleno e al carico tossico,
il dosaggio non è standardizzabile; 0,25-0,50 mg sono in genere
sufficienti in caso di intossicazione da Clitocybe, mentre
possono essere necessari dosaggi molto superiori nelle
intossicazioni da carbamati o esteri organo-fosforici (fino a 30
grammi di atropina in 35 giorni, somministrata in perfusione
continua a dosi giornaliere variabili da 170 a 3600 mg) (Le Blanc
et al, 1986; Locatelli et al, 1989).
Fisostigmina
(Eserina)
E un
inibitore reversibile della acetilcolinesterasi che viene
utilizzata nelle intossicazioni da farmaci e sostanze ad azione
anticolinergica centrale, responsabili cioè della Sindrome
Anticolinergica Centrale (SAC): atropina, iosciamina, belladonna,
scopolamina, parasimpaticolitici ad azione centrale,
antiistaminici, fenotiazine, antiparkinsoniani atropinosimili,
antidepressivi triciclici e quadriciclici, funghi (Amanita
muscaria) (Bozza-Marrubini et al, 1987). La struttura chimica di
amina terziaria le permette di attraversare la barriera
ematocerebrale e di essere attiva quindi anche a livello
centrale.
Agisce elevando il tasso di acetilcolina e ripristinando quindi
la conduzione colinergica. E efficace ed essenziale nelle
intossicazione da atropina e derivati. La sua utilità è invece
discussa nelle intossicazioni miste (anche se con SAC, come
antidepressivi triciclici, antiistaminici, ecc.). A livello
centrale rende reversibile il coma, delirio, allucinazioni,
convulsioni e gli effetti extrapiramidali della SAC. A livello
periferico risulta invece meno efficace contrastando solo
parzialmente tachicardia, ileo, iperpiressia, ritenzione
urinaria, vasodilatazione periferica, e la diminuzione delle
secrezioni cutanee e mucose; la midriasi può persistere anche
per 2 o più giorni (Gelman e Conner, 1984).
La dose iniziale di 0,5-2 mg per via endovenosa lenta (nei
bambini: 0,02-0,06 mg/kg) può essere ripetuta dopo 5-10 minuti
se non si ottiene leffetto desiderato (fino a un massimo di
4 mg in 1/2 ora nelladulto e 2 mg in 1/2 ora nel bambino).
Leffetto clinico, tuttavia, è di breve durata (20-60
minuti) e possono essere necessarie somministrazioni ripetute
(Bozza-Marrubini et al, 1987; Gelman eConner, 1984; Lewin, 1986).
Il farmaco può, in alcuni casi, precipitare convulsioni, crisi
colinergiche, midriasi, ileo paralitico, ritenzione urinaria,
bradiaritmie e asistolia, ipotensione, tachicardia ventricolare e
fibrillazione atriale. Alcuni autori, considerando la
possibilità di questi importanti effetti collaterali, ne
raccomandano luso solo in caso di (I) allucinazioni e
agitazione che possano determinare grave autolesionismo, (II)
aritmie sopraventricolari con instabilità emodinamica, (III)
presenza di convulsioni insensibili ai normali trattamenti
anticonvulsivanti, (IV) aritmie ventricolari insensibili a
lidocaina e fenitoina (Kulig e Rumack, 1983). Le
controindicazioni relative alluso del farmaco sono
rappresentate da asma, gangrene, malattie cardiovascolari e
ostruzione meccanica del tratto gastroenterico o urinario (Lewin,
1986). Gli effetti collaterali o tossici indotti dalla terapia
antidotica sono contrastabili dallatropina alla dose di
0,5-1,5 volte il dosaggio di fisostigmina somministrato (Kulig e
Rumack, 1983; Locatelli et al, 1989).
Naloxone
E' l'antidoto specifico degli oppioidi.
Flumazenil
E lantidoto specifico delle
benzodiazepine (BDZ). La molecola, una benzodiazepina sostituita,
agisce selettivamente e con meccanismo competitivo a livello dei
recettori benzodiazepinici centrali, per i quali ha un alto grado
di affinità.
Idrossocobalamina
Nellintossicazione
da cianuri e nitrili il trattamento sintomatico di rianimazione e
quello antidotico hanno la precedenza sul trattamento evacuativo
del tratto digerente. Gli antidoti specifici oggi utilizzati sono
lidrossocobalamina e il sodio tiosolfato.
Lidrossocobalamina (vitamina OH-B12) lega il gruppo CN- in
tutti i compartimenti (tratto gastroenterico, compartimento
centrale, organi bersaglio) con formazione di un composto
atossico (cianocobalamina o vitamina B12); il rapporto ottimale e
di 26 mg CN-/1346 mg di idrossocobalamina. La dose consigliata,
negli avvelenamenti da cianuri medio-gravi, è di 2-4 grammi di
idrossocobalamina ripetuti in boli ravvicinati a circa 5 minuti
di distanza luno dallaltro; insieme
allidrossocobalamina viene somministrato anche il sodio
tiosolfato (Bozza-Marrubini et al, 1987; Locatelli et al, 1989).
Linfusione endovenosa di idrossocobalamina (0,42 mg/minuto)
viene utilizzata per chelare i ciano-ioni che si formano durante
e dopo infusione endovenosa continua con nitroprussiato (Spoerke
et al, 1986).
Sodio
tiosolfato (od iposolfito)
Il CN- viene
normalmente trasformato in vivo, ad opera della rodanasi, in
tiocianato, composto completamente innocuo. Tuttavia in caso di
intossicazione questo processo metabolico è troppo lento, a
causa della limitata disponibilità di donatori di zolfo.
Luso del tiosolfato accelera la detossificazione del CN-,
purchè la dose somministrata sia adeguata. Viene perciò usato,
nel trattamento dellintossicazione cianidrica, in infusione
endovenosa lenta alla dose di 0,3-0,5 g/kg (in soluzione al 25%)
(Bozza-Marrubini et al, 1987; Locatelli et al, 1989).
Ossigeno
E
lantidoto di scelta in tutte le intossicazioni accompagnate
da ipo-anossia. Le indicazioni allossigenoterapia sono
rappresentate dallanossia anossica (es: respirazione di gas
inerti o tossici in concentrazioni tanto elevate da diluire o
annullare la concentrazione dellossigeno nellaria),
dallanossia da deficit di trasporto (carbossi- e
metaemoglobina), dallanossia istotossica (cianuro) e
dallanemia emolitica (Bozza-Marrubini et al, 1987).
Lossigenoterapia può essere effettuata con varie
modalità, la cui scelta dipende da una valutazione complessiva
comprendente le condizioni del paziente, il tempo necessario per
lattuazione di una tecnica (es: distanza da un centro
attrezzato con camera iperbarica) e le determinazioni di
laboratorio (es:livello di carbossiemoglobina). Con i vari metodi
si possono ottenere diversi valori di pressioni parziali di
ossigeno nel sangue.
Lossigenoterapia iperbarica è stata utilizzata in diverse
intossicazioni: barbiturici, funghi, idrocarburi, esteri
organofosforici (Goldfrank, 1986), monossido di carbonio, cianuri
(Kindwall, 1980; Myers, 1981; Way et al, 1972). Probabilmente
questo tipo di terapia è efficace anche nelle intossicazioni da
idrogeno solforato (H2S) e tetracloruro di carbonio (Stine et al,
1976; Truss e Killenberg, 1982).
Ossigenoterapia: modalità di somministrazione e quantità di ossigeno disciolto in funzione del tipo di somministrazione * | ||
ventilazione | PaO2 | O2 disciolto (mL/100mL) |
aria | 100 | 0,3 |
O2 50% | 300 | 0,9 |
O2 100% | 600 | 1,8 |
Ossigenoterapia iperbarica: | ||
2 ATA | 1200 | 3,6 |
3 ATA | 1800 | 5,4 |
Blu di
metilene
La terapia delle
intossicazioni da sostanze metaemoglobinizzanti (es. anilina,
nitriti, nitrati, nitrobenzene, fenazopiridina, ecc.) consiste
nelle misure generali atte ad allontanare il veleno non ancora
assorbito (es. rimozione degli abiti, lavaggio della cute con
acqua e sapone) e nel ripristino della capacità di trasporto
dellossigeno nel sangue prima che si siano verificati danni
anossici parenchimali irreversibili. Ciò può essere ottenuto
mediante (Bozza-Marrubini et al, 1987; Locatelli et al, 1989):
Apporto di ossigeno ai tessuti per vie diverse dallemoglobina (Hb), cioè mediante ossigenoterapia normo od iperbarica. Il trattamento iperbarico può consentire di arrivare a quantità di ossigeno disciolto nel plasma tale da assicurare un sufficiente apporto tessutale di O2: questo trattamento tuttavia ha solo un effetto palliativo, in quanto non consente la riduzione del ferro trivalente dellHb; |
Uso di antidoti che attivano o accelerano i sistemi riduttori (blu di metilene, acido ascorbico). |
Il blu di metilene agisce come
catalizzatore delle reazioni ossidoriduttive mediante le quali
vengono trasferiti elettroni alla metemoglobina (metHb); esso
cioè riattiva lHb riconvertendo il Fe+++ in Fe++. La
presenza di metHb può essere grossolanamente accertata con due
metodi: (i) il colore del sangue: il campione appare colore
cioccolato e non cambia con lesposizione allossigeno;
(ii) in presenza di metHb laggiunta al sangue di cianuro di
potassio in soluzione 1:100 fa virare il colore da cioccolato a
rosa (Gelman e Conner, 1984).
Il blu di metilene è controindicato in caso di metHb
extra-cellulare (es: clorati) e nei soggetti con deficit
congenito di glucoso-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD).
Viene somministrato molto lentamente per via endovenosa e in
soluzione all1% alla dose di 1-2 mg/kg. Può essere
necessario ripetere altre dosi senza superare i 7 mg/kg, dose
alla quale il blu di metilene diventa esso stesso
metaemoglobinizzante. Gli effetti collaterali di questa terapia
antidotica sono rappresentati da diaforesi, nausea, vomito,
vertigini e confusione mentale; laccidentale infiltrazione
perivenosa determina grave necrosi (Gelman e Conner, 1984). Nei
casi di metHb lieve o solo sospetta e insieme al trattamento con
blu di metilene può essere indicato luso dellacido
ascorbico. Questo favorisce la riduzione non enzimatica della
metHb: lefficacia è molto inferiore a quella del blu di
metilene.
La sostituzione della metHb con Hb normale
(exsanguinotrasfusione) trova indicazione solo per metHb
superiori al 60% e in caso di non disponibilità del blu di
metilene oppure quando il trattamento antidotico non abbia avuto
alcun effetto (es. sulfonmetaemoglobinemie). La plasmaferesi
trova invece indicazione nelle metHb accopagnate da emolisi
(clorati).
Etanolo
E indicato nellintossicazione da metanolo e glicole
etilenico, di cui rallenta il metabolismo e quindi la formazione
dei rispettivi metaboliti tossici; inibisce anche la comparsa
della gravissima acidosi metabolica tipica di questi
avvelenamenti.
Nelluomo etanolo e metanolo seguono vie metaboliche comuni
essendo ossidati dagli stessi sistemi di enzimi: lalcool
deidrogenasi che converte lalcool ad aldeide (acetaldeide e
formaldeide rispettivamente), e laldeide deidrogenasi che
converte laldeide ad acido (acido acetico e formico
rispettivamente).
Il meccanismo dazione delletanolo è basato sul fatto
che lalcool deidrogenasi metabolizza letanolo in modo
preferenziale: infatti laffinità dellenzima per
letanolo è maggiore di 20 volte rispetto al metanolo
(Gossel e Bricker, 1984) e di 30-40 volte rispetto al glicole
etilenico (Finkel, 1983).
Letanolo può essere somministrato, a seconda della
gravità del caso, sia per os che per via endovenosa. La dose di
etanolo da somministrare varia secondo le capacità metaboliche
del paziente e la contemporanea attuazione della dialisi, e viene
regolata in modo tale da mantenere lalcoolemia etilica al
livello di 100 mg% (Locatelli et al, 1989; Wanke, 1984). La
contemporanea somministrazione di acido folico o folinico (30 mg
ogni 6 ore per via endovenosa) può contribuire ad accelerare il
catabolismo dellacido formico a CO2, dato che
nelluomo la degradazione metabolica dellacido formico
avviene attraverso processi enzimatici folico-dipendenti.
Recentemente è stato utilizzato con successo nelle
intossicazioni da metanolo e da glicole etilenico anche il
4-metilpirazolo, antidoto che agisce come substrato competitivo
per lenzima alcool deidrogenasi.
Terapia antidotica con alcool etilico nelle intossicazioni acute da metanolo e glicole etilenico * | |
livello ematico desiderato | 100 mg/dL |
dose iniziale* | 600 mg/kg |
dose di mantenimento*:prima e dopo dialisi | |
non bevitori | 66 mg/kg/h |
bevitori occasionali | 110 mg/kg/h |
bevitori cronici | 154 mg/kg/h |
dose di mantenimento*:durante dialisi | |
non bevitori | 66 mg/kg/h + 7200 mg/h** |
bevitori occasionali | 110 mg/kg/h+ 7200 mg/h** |
bevitori cronici | 154 mg/kg/h+ 7200 mg/h** |
*= etanolo 10%: uso endovenoso (contenuto =
79 mg/mL), etanolo 95%: uso orale (contenuto = 750
mg/mL); deve essere diluito almeno al 50% (con una
sostanza gradevole) per evitare lirritazione
gastrica. **= 7200 mg/h: dose da somministrare per ogni ora di dialisi |
Pralidossima
(PAM)
E il
riattivatore della colinesterasi inattivata (fosforilata) dagli
esteri organo-fosforici (Howland, 1986). La riattivazione
enzimatica è efficace prevalentemente a livello delle placche
neuromuscolari (recettori nicotinici) con rapido ritorno (in
10-40 minuti dopo la somministrazione) alla normale risposta del
muscolo scheletrico (Taylor, 1980): ciò determina la
normalizzazione delle escursioni diaframmatiche e della
funzionalità respiratoria (Mortensen, 1986). A livello dei
recettori muscarinici, invece, il farmaco ha unazione
modesta (Taylor, 1980). Gli effetti centrali degli
organo-fosforici non rispondono alla PAM poichè il farmaco, un
composto ammonico quaternario, non attraversa la barriera
ematocerebrale (Bloom, 1980; Martin e Siddiqui, 1982). Per
antagonizzare gli effetti di sovrastimolazione dei recettori
colinergici centrali e muscarinici è necessario quindi
somministrare atropina prima, durante, e, spesso, anche dopo il
trattamento con PAM, benchè alcune osservazioni cliniche
suggeriscano unazione di questultima anche sul
sistema nervoso centrale (ritorno allo stato di coscienza di
pazienti comatosi) (Lotti e Beker, 1982; Namba et al, 1971).
Lefficacia dellantidoto risulta strettamente legata
al tempo intercorso fra lintossicazione e lintervento
terapeutico: il legame tossico-acetilcolinesterasi può essere
scindibile solo per un breve tempo (caratteristico per ogni
estere organo-fosforico) dopo il quale, in seguito a un processo
definito "invecchiamento del legame", lantidoto
non risulta più efficace (Bozza-Marrubini et al, 1987).
Per questa ragione il farmaco deve essere somministrato entro
24-36 ore dallesposizione agli organofosforici e solamente
dopo aver ottenuto una buona atropinizzazione
dellintossicato, cioè solo dopo che gli effetti
muscarinici dellintossicazione siano stati stabilmente
dominati (Bozza-Marrubini et al, 1987; Gelman e Conner, 1984;
Namba et al, 1971). In genere la pralidossima viene utilizzata
per 24-36 ore, ma intossicazioni da fenthion o altri
organo-fosforici eliminati lentamente possono richiedere 2 o 3
settimane di trattamento (Mortensen, 1986; Namba et al, 1971).
La terapia viene iniziata (e continuata) in base al monitoraggio
delle colinesterasi del paziente, secondo lo schema e i dosaggi,
riportati in tabella seguente.
La pralidossima è controindicata nelle intossicazioni da
carbamati.
ATROPINA (e.v.) | |
Bambini < 12 anni | Bambini > 12 anni e Adulti |
dose iniziale 0,05 mg/kg
in bolo dose di mantenimento 0,02-0,05 mg/kg (ogni 10-30 minuti) |
dose iniziale e di mantenimento: 1,0-2,0 mg in bolo (ogni 10-30 minuti) |
PRALIDOSSIMA (e.v.) | |
Bambini < 12 anni | Bambini > 12 anni e Adulti |
dose iniziale: 25-50 mg/kg (in 15-30 minuti) | dose iniziale: 2 grammi (in 30-60 minuti) |
dose di mantenimento: 25-50 mg/kg/6 ore | dose di mantenimento: 2 g/6 ore |
Dantrolene
Questo farmaco
trova indicazione nel trattamento dellipertermia maligna e
della sindrome maligna da neurolettici. Agisce come
miorilasciante selettivo del muscolo striato, probabilmente
attraverso linibizione della liberazione di calcio dal
reticolo sarcoplasmatico. La somministrazione per via endovenosa
di una dose bolo di 1 mg/kg può essere seguita da ulteriori boli
da 1 mg/kg, fino ad un massimo di 10 mg/kg; per os si inizia con
25 mg/kg, aumentabili, in 7 settimane, fino a 400 mg/die
suddivisi in 4 somministrazioni (Locatelli et al, 1989).
N-Acetilcisteina
(NAC)
LN-acetilcisteina
è lantidoto essenziale delle intossicazioni acute da
paracetamolo; è stata utilizzata con successo nella terapia
degli avvelenamenti da Amanita phalloides, fosforo, piombo,
idrocarburi alogenati, e viene utilizzata sperimentalmente in
altre intossicazioni.
INDICAZIONI ACCERTATE | paracetamolo - solventi: idrocarburi clorurati - fosforo - piombo |
INDICAZIONI
POSSIBILI, IN VIA DI SPERIMENTAZIONE |
acrilonitrile - naftalene - paraquat - Amanita phalloides - A.verna, virosa - sali doro rame - isoniazide - iproniazide - aflatossine - idrocarburi aromatici - nitrosamine - derivati di mostarde azotate e solforate - antineoplastici (ciclofosfamide, isofosfamide, doxorubicina) |
Lazione antidotica è
determinata dallapporto di cisteina (prodotta
dallidrolisi della NAC) e di gruppi -SH che rispettivamente
agiscono come precursore del glutatione e favorendo la riduzione
del glutatione ossidato. Il dosaggio della NAC e la via di
somministrazione variano secondo il tipo di intossicazione;
infatti può essere effettuato un: 1) trattamento preventivo per
os in caso di dubbia ingestione di dose tossica (evenienza
frequente nei bambini): ciclo di terapia di 24 ore; 2)
trattamento preventivo per via endovenosa in caso di dubbia
ingestione di dose tossica, se il paziente vomita: ciclo di
terapia di 24 ore, 3) trattamento terapeutico per via endovenosa
in caso di sicura ingestione di dose tossica o di alterazioni
enzimatiche dimostranti epatolesività: ciclo completo a dosi
piene per 48 ore o più (fino a normalizzazione delle alterazioni
enzimatiche).
In corso di trattamento antidotico con NAC è sempre necessario
assicurare al paziente una buona diuresi (far bere molta acqua se
trattamento per os; diuresi forzata se trattamento per via
endovenosa).
Nel caso specifico del paracetamolo, la somministrazione
dellacetilcisteina va iniziata non oltre le 8 ore
dallingestione dellanalgesico: lefficacia è
minore dopo 8-12 ore e praticamente nulla dopo 15-24 ore (Rumack
et al, 1981). Luso di questo antidoto per os è
consigliabile in tutti i casi, anche solo sospetti, di
intossicazione acuta o subacuta da agenti a potenziale lesività
epatica. Per le indicazioni ancora sub judice, luso
endovenoso va riservato ai casi di assorbimento di dosi
sicuramente tossiche (Locatelli et al, 1989).
Dosaggio di acetilcisteina nel trattamento antidotico di avvelenamenti da sostanze ad azione epatolesiva. | |
dose di attacco | dose di mantenimento |
150 mg/kg (in 60 minuti) | 50 mg/kg/4 h x 48 ore o più |
La somministrazione può essere effettuata per os diluita in bevanda gradevole oppure per via endovenosa diluita in soluzione glucosata al 5%. Durante il trattamento assicurare sempre buona diuresi.
Sieri
od immunoglobuline antitossine
Siero
antiofidico
Il morso di vipera è meno pericoloso di quanto
comunemente si ritenga e non richiede mai, ad eccezione di casi
particolari, un trattamento antidotico immediato. Lutilità
del trattamento con siero, inoltre, deve essere valutata nei
confronti del pericolo di ipersensibilità da siero; episodi di
asma e allergia nellanamnesi sono perciò una
controindicazione relativa alluso del siero
(Bozza-Marrubini et al, 1987; Proudfoot, 1982). Il siero deve
perciò essere somministrato solo in presenza di segni di
avvelenamento sistemico (vomito, ipotensione, leucocitosi,
alterazioni della coagulazione) e in ambiente ospedaliero dove
sia possibile istituire immediatamente idonea terapia in caso di
anafilassi. La via di somministrazione preferibile è quella
endovenosa (lenta) (Locatelli et al, 1989).
Anticorpi
antidigitale
Rappresentano
lantidoto di scelta in caso di intossicazione grave da
digossina e digitossina refrattaria alla terapia convenzionale
(Bismuth et al, 1982; Ochs e Smith, 1977; Smith et al, 1982). I
frammenti anticorpali antidigitale (Fab: antibody fragments)
legano la digossina interrompendo gli effetti tossici del
glicoside. I Fab hanno sostituito gli anticorpi interi
(IgG-antidigitale) perchè presentano caratteristiche generali e
farmacocinetiche indubbiamente vantaggiose: non sono di per sè
antigenici, hanno un volume di distribuzione maggiore (vicino a
quello della digossina), emivita di distribuzione e di
eliminazione più brevi, e una clearance renale decisamente
superiore grazie al minor peso molecolare (50.000 dalton) (Smith
et al, 1976; Smith et al, 1979). La totale eliminazione del
complesso Fab-digossina avviene per via renale nel giro di 1-2
giorni (Aeberhard et al, 1980); poichè il legame
digitale-anticorpo è reversibile (Sullivan, 1986), una ritardata
eliminazione del complesso Fab-digossina come avviene in caso di
insufficienza renale può determinare il distacco della digossina
dallanticorpo e la ricomparsa, nel giro di 6-7 giorni, di
elevata digossinemia con quadro di intossicazione digitalica
conclamata (Locatelli et al, 1989).
Il meccanismo dazione antidotica dei Fab-antidigitale
sembra determinato da tre fattori: legame col farmaco nei fluidi
extracellulari, creazione di un gradiente di concentrazione verso
il compartimento centrale e infine legame con il farmaco
recentemente dissociato (Sullivan, 1986). Dopo somministrazione
dellantidoto, si osserva, in 1-8 ore, completa regressione
della sintomatologia, dei segni ECGrafici di intossicazione e
delle alterazioni della potassiemia (Bismuth et al, 1982; Smith
et al, 1976; Smith et al, 1982; Smolarz et al, 1985). Nelle
intossicazioni acute si osserva una caratteristica iperkaliemia
da blocco digitale-dipendente della ATPasi di membrana.
Il dosaggio di Fab da soministrare viene stimato in base alla
dose di digossina ingerita: 80 mg di Fab neutralizzano 1 mg di
digossina (Bouffard et al, 1986).
Gli effetti indesirati della terapia con Fab sono rappresentati
da reazioni allergiche (legati alla eterogenicità, in quanto
preparati da pecore) e ipokaliemia da sblocco della attività
della ATPasi di membrana. E pericolosa una seconda
somministrazione in tempi relativamente brevi per la possibile
comparsa di reazioni anafilattiche.
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Disponibilità e uso degli antidoti in pronto soccorso
Carlo Locatelli,
Raffaella Butera, Concettina Varango, Valeria Petrolini,
Cristiano Gandini, Luigi Manzo
Introduzione
L'uso industriale di un numero
sempre maggiore di xenobiotici, l'esteso impiego di
antiparassitari, nonché la diffusione negli ambienti domestici
di prodotti per uso domestico potenzialmente pericolosi e di
farmaci sempre più potenti, hanno determinato negli ultimi
decenni un continuo aumento dell'incidenza dei casi di
intossicazione.
Dati statunitensi riportano per ogni anno circa 8 milioni di casi
di intossicazione, 600.000 casi di tentativo di suicidio e circa
12.000 decessi per avvelenamento negli adulti e 1.000 nei
bambini. L'ingestione di sostanze tossiche è causa del 20%
(adulti) e 5% (bambini) circa dei ricoveri urgenti per motivi non
chirurgici o traumatologici, e il 10% delle richieste di soccorso
ad ambulanze risulta causato da intossicazioni acute [1].
Dati italiani relativi alle cause di ricovero rilevano nella sola
regione Lombardia 4.302 casi di intossicazione/anno e 4.274 casi
di danni da agenti fisici e iatrogeni/anno (dati relativi al
1988) [2], mentre a livello nazionale risulta che nel 1993 i
Centri Antiveleni italiani sono stati interpellati per 51.430
casi di intossicazione [3].
L'intossicazione acuta è pertanto diventata una patologia di
sempre più frequente riscontro per i medici che operano nel
campo delle urgenze/emergenze, e sempre più viene sentita
l'esigenza di un adeguato training in tossicologia clinica
finalizzato a migliorare l'approccio diagnostico e terapeutico
[4], specie per ciò che riguarda la conoscenza delle corrette
indicazioni e controindicazioni all'uso degli antidoti nonché la
loro disponibilità nei servizi di pronto soccorso.
Gli antidoti
Gli antidoti sono sostanze che,
con meccanismi diversi e per vie differenti, possono prevenire o
limitare l'assorbimento, l'azione lesiva sui parenchimi o le
alterazioni funzionali indotte dalle sostanze tossiche. Il loro
effetto può essere estremamente specifico (es.
antagonismo recettoriale) o aspecifico (es. modifica della
cinetica di assorbimento da parte di adsorbenti o catartici), ma
in ogni caso deve consentire il miglioramento della prognosi quoad
vitam o quoad functionem dell'intossicazione. Come
attesta la definizione della Commissione europea sugli antidoti,
l'antidoto è un farmaco e come tale deve presentare le stesse
garanzie di efficacia e di innocuità richieste per tutti i
medicamenti.
Più di 150 molecole sono state, in epoche diverse, considerate
antidoti: nel 1961, ad esempio, la stricnina veniva consigliata
in alcuni testi come l'antidoto dei barbiturici. Ancora oggi in
numerosi testi medici e nella normativa italiana sui presidi
obbligatori per il pronto intervento nell'industria vengono
riportate indicazioni scorrette od obsolete sul tipo di antidoto
da utilizzare nelle specifiche situazioni d'emergenza (es.
antagonismo dell'azione di un acido con un alcale).
Gli antidoti sono farmaci, e negli studi preclinici,
indispensabili per conoscere il meccanismo d'azione dei
medicamenti, numerose sostanze mostrano effetti antidotici nei
confronti di farmaci/veleni. Solo alcune di esse, tuttavia,
trovano applicazione nella realtà clinica, le cui condizioni
differiscono notevolmente da quelle dell'ambiente controllato
della sperimentazione. Alcune sostanze, pur possedendo azione
antidotica, mostrano ad esempio anche caratteristiche di
tossicità tali da non poter essere utilizzate nella pratica
clinica. Altre, pur manifestando effetti positivi in condizioni
sperimentali (es. pretrattamento dell'animale con dose definita,
somministrazione contemporanea veleno e antidoto), non mostrano
una reale efficacia in condizioni estremamente variabili quali
quelle delle intossicazioni acute nell'uomo, che possono
modificare spesso in modo imprevedibile la cinetica e la dinamica
dell'antidoto o del veleno (es. presenza di alterazioni
metaboliche caratteristiche, patologie preesistenti,
intossicazioni miste, tempo di latenza fra assunzione di veleni e
primo intervento medico). Ne sono un esempio i numerosi
"antidoti" risultati efficaci sperimentalmente, ma
drammaticamente inefficaci nell'uomo, per l'intossicazione da
paraquat. La reale misura dell'efficacia di un antidoto,
pertanto, si può valutare solo dall'osservazione degli effetti
nell'uomo, e in modo particolare da sperimentazioni cliniche
controllate.
Gli antidoti oggi disponibili per uso clinico non sono molti, e non esiste un antidoto per ogni veleno. Fortunatamente, tuttavia, il progresso delle conoscenze sulla fisiopatologia delle malattie da causa chimica determina una sempre migliore conoscenza dei meccanismi d'azione e della cinetica dei tossici, una continua scoperta di nuove molecole ad uso antidotico e nuove indicazioni per farmaci già esistenti.
Disponibilità di antidoti
L'adeguato approvvigionamento di
antidoti rappresenta oggi un'esigenza imprescindibile per i
servizi di pronto soccorso: la mancanza di uno o più farmaci che
possono risultare salvavita in caso di intossicazioni, anche
quando si tratta di eventi infrequenti, può gravemente
pregiudicare l'esito dell'intossicazione.
Nella pratica clinica di pronto soccorso alcuni antidoti vengono
utilizzati sulla base della sola anamnesi e prima della comparsa
di qualunque sintomo o segno: tali sostanze sono, nella maggior
parte dei casi, dotate di tossicità propria irrilevante (es.
carbone attivato). Altri, invece, possono determinare importanti
effetti collaterali e il loro uso deve essere riservato a
situazioni di comprovata gravità (es. dimercaprolo).
Un gruppo di antidoti di particolare rilevanza nell'uso di pronto
soccorso è rappresentato dagli antagonisti. Tali farmaci
(atropina, flumazenil, naloxone, fisostigmina) agiscono sul
recettore specifico con meccanismo competitivo. Per tale
selettività d'azione e per la contemporanea sicurezza d'impiego,
ad esempio, il flumazenil e il naloxone possono essere utilizzati
in particolari situazioni anche per la diagnosi differenziale ex
adjuvantibus delle cause di insufficienza cerebrale.
Numerosi antidoti sono di importanza fondamentale e rappresentano
l'unico mezzo terapeutico in grado di modificare drasticamente il
decorso clinico e la prognosi di intossicazioni particolarmente
gravi. Fra tali farmaci possono essere considerati
"salvavita" i Fab antidigitale, l'ossigeno,
l'idrossocobalamina, la N-acetilcisteina, il glucagone, il
dantrolene, l'atropina e la pralidossima. Molti di tali
medicamenti sono già presenti nella maggior parte degli ospedali
perché utilizzati per altri scopi; il loro effetto antidotico,
tuttavia, è spesso subordinato all'uso di dosi molto elevate,
normalmente non disponibili presso le farmacie ospedaliere.
Alcuni antidoti, inoltre, vengono comunemente utilizzati in ogni
pronto soccorso, e i loro effetti terapeutici o collaterali sono
ampiamente conosciuti. Altri hanno un utilizzo estremamente
scarso e la loro esistenza e disponibilità è spesso
misconosciuta. Per tali ragioni nel 1990 una Risoluzione del
Consiglio e dei rappresentanti dei Governi degli Stati Membri
della CEE [5] ha emanato una lista indicativa degli antidoti che
dovrebbero essere disponibili in ambito ospedaliero, regionale e
nazionale, basata sull'efficacia e sull'urgenza di impiego (la
lista completa può essere richiesta al Centro Nazionale di
Informazione Tossicologica - Centro Antiveleni di Pavia*).
In base a tale lista e ad evidenze cliniche ed epidemiologiche
più recenti, è possibile identificare gli antidoti che, in base
alla comprovata efficacia e all'urgenza di impiego, dovrebbero
essere disponibili presso tutti i servizi di pronto soccorso,
oppure reperibili in tempi brevi (2 ore) o comunque in un lasso
di tempo non superiore alle 6 ore presso ospedali centralizzati o
centri antiveleni (tabella).
entro 30 min. | amido - atropina - bicarbonato di sodio - blu di metilene - calcio cloruro - calcio gluconato - carbone vegetale attivato - cobalto edetato - dantrolene ev - diazepam - dimeticone - dobutamina - Fab antidigitale - fentolamina - fisostigmina - flumazenil - glucagone - idrossietilcellulosa - idrossocobalamina - magnesio solfato - naloxone - ossigeno - PEG 400 - propranololo ev - sciroppo di ipecacuana - sodio solfato - sodio tiosolfato - solfato di protamina - solfato di rame - vitamina C - vitamina K |
entro 2 ore | acido cloridrico 0,1 N - acido folinico - calcio-disodioedetato - calcium gel - cloruro di ammonio - cloruro di arginina - colestiramina - dantrolene - desferossamina - dimercaprolo - etanolo - ferrocianuro di potassio - magnesio citrato - magnesio solfato - mannitolo - N-acetilcisteina - ossigeno iperbarico - piridossina - pralidossima - sorbitolo - terra di fuller |
entro 6 ore | blu di prussia - colestiramina colinesterasi sieriche umane - Fab anti-vipera - penicillamina - siero antibotulinico - sieri antitossine |
Un corretto approvvigionamento di antidoti non può prescindere da valutazioni che prendano in considerazione sia l'ambiente in cui opera la struttura ospedaliera (attività industriali a rischio, agricoltura, ecc.) che l'area geografica (tempi di reperimento da strutture vicine).
Ruolo della farmacia ospedaliera nello stoccaggio e rifornimento di antidoti
La farmacia ospedaliera ha un ruolo fondamentale nell'approvvigionamento di antidoti e nel loro adeguato rifornimento ai servizi d'urgenza. Alcuni farmaci utilizzati a scopo antidotico, ad esempio, non sono facilmente reperibili in quanto disponibili solo come galenici (es. fisostigmina, alcool etilico per via endovenosa), oppure perché non vengono commercializzati in Italia nella formulazione adeguata (es. idrossocobalamina e sodio tiosolfato, blu di prussia). D'altra parte si tratta, nella maggior parte dei casi, di farmaci la cui immediata disponibilità sul luogo del trattamento è determinante al fine di poter trattare correttamente alcuni casi di intossicazione grave.
La farmacia ospedaliera deve pertanto essere correttamente informata sulle necessità di approvvigionamento di antidoti e sulle ragioni del loro impiego talvolta ad elevati dosaggi. Compito della farmacia è invece quello di provvedere al reperimento degli antidoti necessari (anche quando si tratta di farmaci non commercializzati in Italia) e alla loro idonea conservazione.
In linea generale e con esclusione degli antidoti di uso più frequente (es. naloxone, flumazenil, atropina) è sufficiente conservare in pronto soccorso la quantità di farmaco necessaria e sufficiente per il trattamento di 2-3 pazienti per 24 ore. Lo stoccaggio delle rimanenti dosi può essere effettuato in farmacia, purché un farmacista possa essere contattato 24/24 ore in caso di necessità.
Conclusioni
Il miglioramento delle conoscenze sugli aspetti diagnostico-terapeutici della tossicologia clinica, unitamente alla disponibilità del supporto specialistico on-line di Centri Antiveleni qualificati, consente oggi ai medici che operano nel campo delle urgenze/emergenze un più idoneo e rapido approccio terapeutico ai casi di intossicazione. Secondo i recenti orientamenti terapeutici, il vecchio assioma "trattare prima il paziente e poi il veleno" deve essere oggi sostituito, se possibile, da "trattare il paziente insieme al veleno": ciò è possibile solo se gli antidoti necessari saranno rapidamente disponibili in tutti i servizi di pronto soccorso del territorio nazionale.
Riassunto
Gli antidoti sono sostanze che, con meccanismi diversi, possono prevenire o limitare l'assorbimento, l'azione lesiva sui parenchimi o le alterazioni funzionali indotte dalle sostanze tossiche. Numerosi antidoti sono di importanza fondamentale poiché rappresentano l'unico mezzo terapeutico in grado di modificare drasticamente il decorso clinico e la prognosi di intossicazioni particolarmente gravi, e devono quindi essere considerati come farmaci salvavita. Essi dovrebbero pertanto essere disponibili presso tutti i servizi di Pronto Soccorso. Con l'ausilio e la collaborazione delle farmacie ospedaliere è perciò opportuno che i servizi di Pronto Soccorso si dotino degli antidoti necessari tenendo conto dell'urgenza del loro impiego, della vicinanza di insediamenti industriali a rischio di incidente chimico e in base alla vicinanza con ospedali regionali di riferimento o con Centri Antiveleni.
Bibliografia
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4 Hoffman RS, Goldfrank LR. Critical Care Toxicology. Churchill
Livingsone, New York, 1991
5 Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n° C 329/6 del
31.12.1990
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