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Effetti dell'Anestesia Peridurale sul Flusso Utero-Placentare e sull'Attività Uterina
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EFFETTI DELL'AP SUL
FLUSSO UTERO-PLACENTARE E SULL'ATTIVITA' UTERINA
L.Guglielmo
Servizio di Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La
Ferla, Palermo
Il flusso sanguigno uterino, a termine di gravidanza, è di circa 700ml/min (10% della gittata cardiaca) e ben l'80-90% di esso si riversa negli spazi intervillosi apportando ossigeno e sostanze nutrienti al feto. Il letto vascolare uterino si trova , alla fine di una gravidanza regolare, in condizioni di massima dilatazione, con scarse capacità di ulteriori dilatazioni o di autoregolazione. Esso è però capace di marcate vasocostrizioni in risposta ad una stimolazione di tipo a-adrenergica prodotte da sostanze endogene o esogene. Tanto le catecolamine endogene prodotte dallo stress materno, quanto la somministrazione di amine vasopressorie, somministrate accidentalmente e.v. (soluzione anestetica con adrenalina) oppure per trattare l'ipotensione materna, possono determinare delle severe riduzioni di flusso utero-placentare.
L'utilizzazione di farmaci a prevalente azione a-adrenergica, come la metoxamina, la mefentermina, il metaraminolo, adrenalina, noradrenalina, è pertanto sconsigliata in ostetricia a causa dell'effetto vasocostrittore che queste sostanze esercitano sull'arteria uterina. Anche alcuni farmaci dotati di un'azione mista a e b-adrenergica (adrenalina, dopamina) o prevalente b (terbutalina, ritodrina) possono causare un effetto di vasocostrizione sui vasi uterini, L'unica amina vasoattiva utilizzabile con una certa sicurezza è l'efedrina, ad azione a e b-adrenergica che, usata a dosi moderate, non riduce il flusso ematico utero-placentare e rappresenta dunque il vasopressore di scelta.
Il flusso nell'arteria uterina è dunque proporzionale alla pressione di perfusione (pressione arteriosa meno pressione venosa) ed inversamente proporzionale alle resistenze vascolari.
L'entità di tali resistenze dipende non solo dal tono vasale ma anche dal tono della muscolatura e dalle contrazioni uterine.
Qualsiasi fattore in grado di ridurre la pressione arteriosa dell'arteria uterina (ipotensione, ipertono uterino, contrazioni), di aumentare la pressione venosa uterina (ipertono, contrazioni) o di determinare vasocostrizione causa una riduzione di flusso utero-placentare. (tab.1).
Tabella 1 - Fattori che riducono il flusso utero placentare |
Contrazioni uterine |
Ipertono |
Ipotensione |
Ipertensione |
Vasocostrittori |
Ipocapnia |
2. AP e flusso utero-placentare
La maggior parte di informazioni degli effetti dei farmaci anestetici sulla circolazione utero-placentare deriva da studi effettuati su animali sui quali è possibile effettuare misurazione dirette del flusso sanguigno attraverso il posizionamento di cateteri intravascolari e di sonde elettromagnetiche sulle branche dell'arteria uterina.
I lavori realizzati da vari autori su capre, pecore e scimmie non evidenziano alcuna modificazione del flusso utero-placentare dopo l'esecuzione dell'AP se l'animale viene sottoposto ad un preriempimento fluidifico e viene mantenuta una condizione di normotensione(1).
L'estrapolazione all'uomo dei risultati ottenuti dalla sperimentazione animale va comunque fatta con una certa cautela.
Lo sviluppo della metodica radioisotopica allo xenon-133 alla fine degli anni 70' e più recentemente della ultrasuonografia Doppler hanno comunque consentito di studiare anche nella donna il flusso utero-placentare durante tutto il periodo della gravidanza (fig.1) e del travaglio di parto ed anche gli effetti su di esso dell'anestesia peridurale.
Figura 1 - Onde doppler durante una gravidanza normale |
Diversi studi condotti in corso di travaglio di parto confermano i risultati della sperimentazione animale. L'AP, eseguita dopo prerempiemento, non determina significative alterazioni nelle caratteristiche del flusso sanguigno nella rete vascolare uterina ed ombelicale (2,3). Anche nei TC eseguiti con tecniche di a.rachidea (AP o AS), il flusso ematico placentare rimane stabile o addirittura migliora (4) (fig.2).
Figura 2 - Effetti dell'espansione volemica e dell'AP sul flusso utero placentare ed ombelicale in corso di taglio cesareo |
Alcuni autori hanno infatti descritto anche un' aumento del flusso sanguigno intervilloso dopo analgesia peridurale, utilizzando un bolo iniziale di 10 ml di bupivacaina allo 0.25% oppure di lidocaina all'1%.
Questo incremento sarebbe del 35% in pazienti sane e del 77% in pazienti preeclamptiche (5)(fig.3).
Figura 3 - Variazioni del flusso
intervilloso dopo AP in pazienti |
Quest'effetto, che non si ottiene usando volumi di anestetico locale inferiori, sarebbe il risultato di una riduzione delle catecolamine circolanti (soprattutto della noradrenalina) prodotte dallo stress e dal dolore, ottenuta attraverso il blocco simpatico prodotto da un'analgesia estesa almeno a T10. L'aggiunta dell'adrenalina 1/200000 agli anestetici locali non modifica il flusso utero-placentare nonostante una discreta riduzione della pressione arteriosa media.
Per contro un'anestesia peridurale realizzata senza un'espansione volemica precedente può determinare ipotensione e dunque una riduzione di flusso uterino ed il rischio di una insufficiente ossigenazione fetale. La stessa cosa si verifica se la paziente, anche non in AP, giace in decubito dorsale pur in assenza di modificazioni della frequenza e della pressione arteriosa nella partoriente. La compressione aorto-cavale esercitata dall'utero gravido, specialmente a termine di gravidanza, quando la paziente si trova in posizione supina, compromette la perfusione utero-placentare sia a causa di una caduta di flusso nell'arteria uterina (compressione aortica) che ad un aumento della pressione venosa uterina (compressione cavale) con ristagno sanguigno nel sistema venoso della metà inferiore del corpo. Questa congestione venosa è presente in tutte le pazienti a termine di gravidanza che assumono la posizione supina così come evidenziano le indagini flebografiche e ha confermato recentemente la RMN che mostra un rallentamento del flusso sanguigno delle vene iliache (6).
EFFETTI DELL'AP SULL' ATTIVITA' UTERINA
L'influenza dell'AP
sulla progressione del travaglio è oggetto di numerose
discussioni, particolarmente tra anestesisti e ginecologi. La
controversia è non solo legata alla difficoltà di confrontare
tra loro dei risultati che sono legati a tecniche anestetiche e
ostetriche molto differenti ma soprattutto alla impossibilità di
realizzare degli studi prospettici completamente randomizzati. Le
pazienti che hanno un travaglio doloroso e/o protratto (per
distocia, anomala presentazione) sono più inclini a richiedere
l'AP rispetto al gruppo di pazienti, meno sofferenti, che
fanno da gruppo di "controllo". Le stesse pazienti, per
motivi ostetrici, sono anche più frequentemente soggette ad un
parto strumentale. Nonostante la presenza di queste variabili che
complicano la valutazione dell'effetto dell'analgesia
peridurale sul travaglio ed il parto, alcune conclusioni possono
essere tracciate.
Sperimentalmente tutti gli anestetici locali, quando testati in
vitro su segmenti di muscolo uterino, hanno un'azione
diretta sull'utero aumentandone il tono basale e riducendone
la contrattilità, e questi effetti sono dose dipendenti. Alle
posologie normalmente impiegate nella pratica clinica l'
effetto esercitato dagli anestetici locali sul muscolo uterino è
invece molto modesto e transitorio.
L'attività uterina è invece molto sensibile ad una
diminuzione di perfusione vascolare uterina (7).
L'ipotensione arteriosa e la compressione aorto-cavale sono
infatti le cause principali di una riduzione di contrattilità
uterina (8).
1. Effetti dell'AP sulla Fase dilatante
La durata della prima parte del
travaglio dipende in gran parte dalle caratteristiche della
cervice uterina e dalla qualità delle contrazioni uterine.
L'analgesia peridurale determinando un blocco delle fibre
pregangliari simpatiche, riduce il tasso di catecolamine
circolanti e determina un effetto antispastico sul collo uterino.
In caso di travaglio discinetico dominato da contrazioni
disordinate e inefficaci l'AP fa sì che la dilatazione
cervicale avvenga più rapidamente grazie ad una regolarizzazione
dell'attività contrattile. L'azione dell'AP sulla
contrattilità uterina è molto modesta riducendone
l'intensità ma non la frequenza. Questa riduzione si
verifica nei primi 15-30 min dopo il primo bolo di anestetico e
si corregge generalmente spontaneamente o con la somministrazione
di ossitocina (9). Peraltro è dimostrato che la progressione
della dilatazione cervicale non è influenzata da questo
rallentamento temporaneo dell'attività uterina. Questo
effetto si osserva con tutti gli anestetici locali utilizzati
comunemente (mepivacaina, lidocaina, bupivacaina, ropivacaina)
associati o meno all'adrenalina ad oppiacei oppure alla
clonidina.
La maggior parte degli studi dimostra che la durata della fase di dilatazione, sia delle primipare che delle primipare, non viene generalmente modificata dalla AP anche quando viene iniziata nel periodo latente della fase dilatante. In presenza di distocia dinamica o di travaglio molto doloroso l'AP può ridurre la durata di questa fase del travaglio (10). In conclusione l'AP, eseguita rispettando tutte le regole di sicurezza ben codificate (decubito laterale sn parziale, riempiemento vascolare), ha un effetto positivo sulla progressione del travaglio. Il timore di arrestare il travaglio per una AP troppo precoce è ingiustificato. Per tale motivo deve essere l'intensità del dolore piuttosto che lo stadio della dilatazione cervicale a far iniziare l'installazione del blocco analgesico (tab.2) .
Tabella 2 |
2. Effetti dell'AP sulla fase espulsiva
Si ritiene generalmente che l'AP determini un allungamento della fase espulsiva tanto nelle pazienti primipare che pluripare ed anche un aumento dei parti operativi. Se esaminiamo però i lavori riportati in letteratura osserviamo una grande diversità di risultati sia per quel che riguarda la durata della II fase del travaglio che nella incidenza di applicazione di forcipe, ventosa o di taglio cesareo nelle pazienti sottoposte ad AP. Generalmente si assiste comunque ad un modesto allungamento della fase espulsiva soprattutto nelle primipare (11). Ci sono infatti alcune ragioni che possono spiegare perchè l'AP può influenzare la fase di espulsione. L'AP attraverso una riduzione del tono dei muscoli pelvici e dell'elevatore dell'ano può disturbare la flessione e la rotazione della testa fetale rallentandone la progressione nel canale vaginale. Il desiderio di spingere il neonato fuori dalla cavità uterina è determinato proprio dal contatto della parte presentata con il pavimento pelvirettale (riflesso di Ferguson).
L'AP, attraverso il blocco
sensitivo delle radici sacrali, può abolire questa necessità.
Il meccanismo riflesso che fa sì che lo stimolo perineale guidi
la partoriente nel suo sforzo espulsivo deve essere dunque
rimpiazzato da una coordinazione volontaria e diretta della
muscolatura addomino-perineale.
Un blocco anestetico motorio intenso della parete addominale e
del pavimento pelvico può evidentemente contribuire a ridurre
l'efficacia della spinta materna e dunque ad allungare
questa fase del travaglio.
L'allungamento della fase espulsiva è normalmente vissuta con una certa preoccupazione da parte dell'equipe ostetrico-neonatologica perchè si teme la possibilità di una sofferenza fetale.
E' stato dimostrato ampiamente che in AP, il prolungamento dell'espulsione non si accompagna ad una alterazione del pH fetale, come si verifica nel caso di travaglio non in AP. L'AP permette, attenuando o abolendo lo stress materno legato al dolore, una fase espulsiva più confortevole con una diminuzione del consumo di ossigeno e della produzione di acido lattico. Tale benessere si riflette anche sulla condizione neonatale (12). L'American College of Obstetricians and Gynecologyst raccomanda da alcuni anni di non considerare prolungata la II fase del travaglio in pazienti in AP prima di 2 ore nelle multipare e 3 ore nelle primipare (1 e 2 ore rispettivamente nelle pazienti non in AP).
La strategia ostetrica di fronte ad un allungamento della II fase del travaglio è evidentemente molto importante. Se le condizioni fetali sono buone il parto spontaneo è spesso possibile al prezzo di una certa pazienza, incoraggiando gli sforzi espulsivi della partoriente al momento in cui la testa ha effettuato la rotazione ed è presente sul piano perineale (tab.3).
Tabella 3 |
3. Ap e applicazione di forcipe
Una delle critiche maggiormente indirizzate all'AP è l'aumento delle estrazioni strumentali. Se questa tecnica anestesiologica incrementi tale fenomeno è però piuttosto controverso. In letteratura esistono infatti dato molto discordanti sia per quanto riguarda la frequenza di applicazione di forcipe (0-60%) che il tipo di partoriente più esposta (primipara o pluripara) (13,14). Inoltre la coincidenza di tale complicanza con l'AP sarebbe solo parzialmente dipendente dal tipo e concentrazione di anestetico locale, usato da solo o con altre sostanze (adrenalina, oppiacei, clonidina etc.) o di tecnica anestesiologica adottata (boli intermittenti, infusione continua, PCA, analgesia limitata alla fase dilatante etc.).
L'utilizzazione del forcipe, tanto nel gruppo di pazienti in AP quanto in quello non in anestesia, è comunque associata alle stesse variabili: nel 30-50% dei casi ad una fase espulsiva prolungata (>1ora), nel 10-30% a distress fetale, nel 10-30% a malposizionamento del feto (in occipite posteriore o in trasverso), nel 50% ad una età gestazionale > 41 settimane e parità.
E' comunque significativa la riduzione nell'incidenza di applicazione di forcipe avvenuta negli ultimi anni che è il frutto dell'adozione di protocolli anestesiologici caratterizzati dall'uso di soluzioni meno concentrate di a.locale che determinano un blocco motorio minimo e probabilmente di un migliore affiatamento tra le equipes anestesiologiche ed ostetriche (ta.4).
Tabella 4 |
4. AP e Taglio Cesareo
Negli ultimi anni l'attenzione sulle possibili complicanze ostetriche secondarie all'uso dell'AP in travaglio di parto si è focalizzata sull'associazione tra AP e taglio cesareo. Alcuni lavori infatti evidenziano un'alta percentuale di TC per cause distociche o mancate progressioni del travaglio in pazienti sottoposte ad AP (10-25%) soprattutto se primipare(15). Tali risultati non trovano però conferma in altri studi nei quali viceversa non si riscontrano differenze tra pazienti trattate e non trattate con l'AP e l'incidenza di TC non supera l'8-10% nei due gruppi(16). La spiegazione risiede probabilmente, ancora una volta, nell'impossibilità di comparare studi in cui si utilizzano strategie anestesiologiche ed ostetriche diverse (l'utilizzazione di ossitocina a basse o alte dosi ad es.).
In alcuni servizi di ostetricia per es. l'aumento dell'incidenza di TC coincide con la riduzione dell'utilizzazione del forcipe e della ventosa, tecniche che appaiono più pericolose e dunque meno convenienti anche da punto di vista delle eventuali sequele medico-legali. Molto spesso l'AP viene eseguita in pazienti dal travaglio discinetico nella speranza di ottenere delle condizioni ostetriche adeguate al fine di realizzare un parto per vie naturali.
Non sembra dunque che l'AP di per sè si accompagni ad un incremento dei TC. D'altronde è piuttosto difficile credere che la denervazione simpatica dell'utero prodotta dal blocco anestetico possa interferire sulle modalità di parto quando la transezione traumatica del midollo spinale non impedisce alle donne paraplegiche di partorire per via vaginale. In conclusione si può dire che una opportuna strategia ostetrica e l'adozione di una tecnica analgesica segmentaria che non blocchi precocemente le radici sacrali, condotta con una infusione continua di anestetico locale a bassa concentrazione (0.125-0.3%) consente di conciliare un'analgesia ed un comfort materno soddisfacenti senza un significativo allungamento della durata del travaglio od un aumento di parti operativi.
Cardiopatie di vario tipo sono presenti nello 0.4-4-1% delle pazienti gravide. L'eziologia è dominata dalle affezioni reumatiche anche se si assiste ad un accrescersi di pazienti che seppur affette da cardiopatie congenite raggiungono, con le cure mediche, un'età procreativa e decidono di affrontare una gravidanza (17) (fig.4).
Figura 4 |
L'anestesista, sempre più frequentemente coinvolto nella prevenzione, nella terapia e nel monitoraggio delle complicanze associate alle varie cardiopatie, deve dunque conoscere perfettamente le ripercussioni delle diverse modalità di anestesia e analgesia sulla patologia in causa e scegliere quella ritenuta più opportuna.
La mortalita varia da < 1% a >del 25% in funzione della patologia e del suo stadio evolutivo.
La gittata cardiaca aumenta nelle partorienti , in media, del 40% durante la gravidanza ed un ulteriore aumento del 30-50% si verifica durante il travaglio (18) (fig.5). E' su questi dati che deve essere decisa la modalità del parto: se la paziente non è in grado di tollerare questo aumento del lavoro cardiaco occorrerà programmare un TC quando verrà raggiunta la maturazione fetale.
Figura 5 |
Per quanto riguarda le ripercussioni della terapia cardiologica sull'andamento della gravidanza e sul travaglio, i betabloccanti rappresentano gli antiaritmici più sicuri mentre tra gli anticoagulanti gli antivitamina K dovrebbero essere sostituiti dall'eparino-terapia sia nel primo trimestre che alla fine della gravidanza. L'anestesia peridurale verrà realizzata, in travaglio, dopo sospensione dell'eparinoterapia e normalizzazione dei valori coagulativi. Le terapie con aspirina dovrebbere essere interrotte almeno una settimana prima dell'esecuzione dell'AP anche se i dati della letteratura, relativi al rischio di sanguinamento rachideo, sono molto discordanti e tendono complessivamente a ridimensionare il rischio emorragico legato all'uso di FANS.
Le pazienti affette da valvulopatie, cardiopatie congenite e quelle che hanno ricevuto un trapianto cardiaco dovranno praticare all'inizio del travaglio o subito prima del TC un'antibioticoprofilassi utilizzando un'associazione ampicillina-gentamicina o utilizzando una cefalosporina di IIIa generazione (ceftazidime,ceftriaxone) o la vancomicina nel caso di allergia alle ß-lattamine.
Qualunque sia la tecnica anestesiologica utilizzata, che dipenderà ovviamente dalle condizioni cliniche della paziente, dagli esami di laboratorio e dalle modalità di espletamento del parto, è indispensabile la prevenzione della sindrome della v.cava e la realizzazione di uno stato emodinamico ottimale (liquidi, dobutamina..) per prevenire l'ipovolemia. Il monitoraggio sarà scrupoloso (ECG,SaO2, Pa) ed invasivo (EAB,Pa cruenta, PVC o PCWP) se le condizioni della paziente lo richiedono. L'ossigenazione deve essere mantenuta elevata, impiegando una FiO2 di 0.5 se in AG, o attraverso la mascherina se in AP o AS. Se si utilizza l'AG occorre fare molto attenzione all'induzione dell'anestesia ( ß di GC e/o poussée ipertensive) ed al risveglio (attenzione a brivido, agitazione, dolore che si accompagnano ad un aumento del consumo di O2 e del lavoro cardiaco. Tra le tecniche di ALR l'AP è da preferire all'AS per la maggiore gradualità nella caduta delle resistenze periferiche che dunque consente un migliore adattamento emodinamico ed un riempimento vascolare meno impegnativo.
Specifiche malattie cardiache (fig. 6)
Figura 6 |
Prolasso mitralico
Rappresenta la lesione cardiaca più frequente ed è caratterizzata da una protrusione della valvola mitralica nell'atrio sn durante la sistole. Questa patologia, in genere, è molto banale e secondaria ad una malattia sistemica come l'artrite reumatoide o il lupus. Generalmente asintomatica, non comporta dei problemi specifici per la gravidanza ed il parto a meno che non intervenga una insufficienza mitralica (vedi sotto) o delle turbe del ritmo che spesso complicano le forme secondarie. Nelle forme semplici la frazione di eiezione sistolica ventricolare è normale e i rapporti pressione/volume diastolici ventricolari sono normali e dunque il management anestesiologico non ha particolarità.
Stenosi mitralica
Si tratta di una valvulopatia
spesso riscontrata nella gravida. La malattia è caratterizzata
da un ostacolo al flusso sanguigno diastolico verso il ventricolo
sinistro con un aumento delle pressioni dell'atrio sn, delle
vene e dei capillari polmonari. Questo spiega l'incidenza di
scompensi cardiaci acuti con edema polmonare (spesso tra la 28 e
la 32a settimana) che sono qualche volta la maniera di rivelarsi
di questa patologia. La gravidanza aggrava il quadro emodinamico
della stenosi mitralica a causa della tachicardia che riduce il
tempo di riempimento ventricolare sn, dell'aumento della GC
e del lavoro miocardico e infine dell'aumento della volemia
che tende ad aumentare le pressioni capillari polmonari.
Qualunque sia la tecnica anestesiologica adottata, il trattamento
deve mirare a :
a) prevenire e trattare una frequenza ventricolare elevata
(fc>110) evitando farmaci come atropina, ketamina , pavulon,
isoflurano e utilizzando eventualmente piccole dosi di
ß-bloccanti (pindololo, propanololo, esmololo).
b) evitare le infusioni rapide o il Trendelemburg che possono
causare un incremento della PVC con ipertensione polmonare,
scompenso dx, fibrillazione atriale.
c) evitare una riduzione brusca delle resistenze vascolari e
dunque dell'afterload o del ritorno venoso (sindrome di
compressione aorto-cavale) che possono indurre una tachicardia
compensatoria .
d) evitare ogni situazione di ipo-ipercapnia, ipossia, acidosi,
che incrementi le resistenze vascolari polmonari.
Tanto nel caso di parto per via vaginale quanto nel TC di
elezione l'analgesia peridurale rappresenta dunque la
modalità di anestesia ideale. (fig.7).
Figura 7 |
L'AS non è controindicata ma il maggior risentimento emodinamico che esso determina rispetto all'AP obbliga ad una maggiore attenzione al mantenimento di parametri emodinamici stabili. Il tipo di monitoraggio emodinamico da adottare è legato al grado di severità della malattia. In ogni caso conviene monitorizzare la Pa e la SaO2 in continuo. Utile, soprattutto nel caso di TC (sia in AR che in AG), iniziare preoperatoriamente una infusione continua di dobutamina. Nel caso di compromissione cardiaca severa può essere necessaria l'utilizzazione contemporanea di piccole dosi di nitroprussiato sodico.
Insufficienza mitralica (fig. 8)
In contrasto con la stenosi mitralica, il pattern emodinamico nell'insufficienza mitralica è caratterizzato da una sovradistensione diastolica del ventricolo sn ed una riduzione dello stroke volume con una riduzione della frazione di eiezione. Il sangue rigurgitato aumenta la pressione atriale sn che può accompagnarsi ad un aumento delle pressioni capillari polmonari con congestione ed edema. L'aumento delle resistenze vascolari, che aumenta il rigurgito atriale durante la sistole ventricolare, peggiora il quadro emodinamico. Esso invece migliora con una riduzione dell'afterload perchè la riduzione del gradiente attraverso la valvola aortica produce un aumento della frazione di eiezione sistolica. Dal punto di vista anestesiologico le anestesie rachidee (tanto l'AP che l'AS) vanno dunque nella direzione di migliorare il pattern emodinamico a patto di evitare la bradicardia. Per il monitoraggio valgono le stesse considerazioni della stenosi mitralica.
Figura 8 |
Stenosi aortica
In questa patologia il volume di eiezione sistolica è limitata dall'ostacolo valvolare. Via via che la stenosi valvolare si incrementa, aumenta il gradiente pressorio tra il ventricolo e l'aorta e con esso il tempo di eiezione. Il mantenimento dello stroke volume è accompagnato dall'incremento della pressione sistolica del ventricolo sn con incremento della pressione transvalvolare e conseguente ipertrofia della parete ventricolare sinistra. L'ispessimento della parete e l'aumento delle pressioni ventricolari possono produrre una riduzione del flusso subendocardico e successiva ischemia. Questi pazienti tollerano male sia la tachicardia che determina un insufficiente tempo di eiezione ed un aumento del lavoro cardiaco, che la vasodilatazione che determina sia una riduzione del ritorno venoso che soprattutto una riduzione della pressione aortica media e dunque coronarica. L' AP non è controindicata per l'analgesia nel travaglio di parto o nel TC ma deve essere utilizzata impiegando dosi frazionate di anestetico locale evitando una brusca caduta pressoria (19). L'ipotensione deve essere trattata soprattutto con liquidi. Nel caso di AG deve essere prevenuto o trattato l'aumento di pressione arteriosa anche attraverso il ricorso a piccole dosi di vasodilatatori (uraprene, nitroglicerina, nifedipina) o di oppiacei. Si raccomanda, tanto nel caso di AG che di AR , l'utilizzazione di una infusione di dobutamina e l'applicazione di un cerotto di nitroglierina da continuare nel post-op. Per il monitoraggio valgono le considerazione gia' viste nei paragrafi precedenti. Attenzione ai possibili cambi, all'ECG, del tratto ST che possono essere determinati da una ischemia miocardica.
Insufficienza aortica
In questa patologia il problema emodinamico consiste in un decremento del volume di eiezione a causa del rigurgito diastolico dall'aorta nel ventricolo sinistro. Questo flusso retrogrado produce una sovradistensione ventricolare tanto in sistole che in diastole. Un aumento delle resistenze vascolari sistemiche e la bradicardia incrementano il grado di rigurgito che è invece ridotto da condizioni opposte. Il decremento delle resistenze vascolari sistemiche e l'incremento della frequenza che si verificano in gravidanza possono migliorare l'emodinamica di queste pazienti. Tuttavia l'aumento del volume intravascolare e le variazioni associate con il dolore e lo stress del travaglio possono determinare una disfunzione del ventricolo sinistro. L'AP e l'AS sono dunque le anestesie migliori per queste pazienti ma la frequenza cardiaca dovrebbe essere mantenuta tra 80 e 100 bm-1 .
Ipertensione polmonare
E' generalmente secondaria ad una cardiopatia congenita ma può persistere anche dopo la sua eventuale correzione chirurgica. Per definizione l'ipertensione polmonare è presente quando la PA è > 30/15 mmHg o la PA media è > 25mmHg. Un progressivo aumento di tali valori determina un aumento del lavoro ventricolare dx con una sua ipertrofia ed eventuale insufficienza. L'aumento della GC legato alla gestazione aggrava la sintomatologia e i rischi di uno scompenso acuto destro sono elevati (mortalità >50%) tant'è che molte equipes accelerano la maturazione fetale con la corticoterapia ed estraggono prematuramente il neonato. Queste pazienti tollerano male marcati incrementi o decrementi del preload ed acuti aumenti del consumo di ossigeno miocardico. Occorre inoltre evitare l'ipercapnia, l'ipossia, l'acidosi, l'iperdistensione alveolare (alti tidal) e tutte quelle condizioni che producono un aumento delle resistenze vascolari polmonari. L'anestesia di queste pazienti necessita spesso di un monitoraggio della PA attraverso il catetere di Swan-Ganz. L'AP può essere utilizzata procedendo con prudenza al riempimento ed all'installazione del blocco simpatico. In caso di AG occorre evitare in tutti i modi l'ipertensione associata all'intubazione (utilizzando oppiacei o meglio piccole dosi di vasodilatatori ) ed anche l'ipotensione. E' utile iniziare una infusione di dobutamina associata a nitroderivati.
Le perturbazioni della regolazione
glicemica sono molto frequenti in corso di gravidanza soprattutto
al terzo trimestre e la prognosi materna e fetale viene
modificata da questa patologia. Un diabete gestazionale pesa
sulla prognosi fetale tanto in termini di morbidità che
mortalità. La frequenza di ipertensione è moltiplicata 3-4
volte nelle madri diabetiche. La seconda metà della gravidanza
è spesso contraddistinta da minacce di parto prematuro. ed il
suo trattamento è reso difficile dalle interferenze tra il
trattamento ß-mimetico e la glicemia. Queste complicanze sono
tanto più severe quanto più anziano è il diabete. Prima del
parto l'anestesista dovrà quindi valutare la gravità del
diabete anche attraverso le eventuali complicazioni degenerative
(vascolari, renali, retiniche o neurologiche). Una complicanza
non infrequente è rappresentata dalla chetoacidosi che spesso è
il risultato di una perdita di K+ col vomito protratto associato
alla diuresi osmotica. La glicemia , in questi casi, può non
essere molto elevata. L'infezione gioca un ruolo
preponderante all'origine di questa complicanza e così pure
il trattamento tocolitico realizzato con ß-mimetici (ritodrina)
utilizzati anche per os.
Sono rari, nel contesto ostetrico, i comi iperosmolari. Durante
il travaglio il controllo della glicemia è essenziale:
l'ipoglicemia rallenta il travaglio mentre
l'iperglicemia può determinare una ipoglicemia neonatale
grave alla nascita (iperinsulismo fetale). Il mantenimento di una
glicemia corretta si basa sull'infusione continua di G10 a
50/70 ml/hr + 10-20 u.insulina ( 1-2U./hr se si utilizza una
pompa siringa) e sul controllo col destrostix ogni 2 ore. Per
l'analgesia ostetrica il ricorso alla AP appare come una
scelta quasi obbligata (20) (tab.4).
Preeclampsia, Eclampsia e trattamento anestesiologico
La preeclampsia (o gestosi o tossiemia gravidica) complica il 5-10% delle gravidanze. E' tipicamente una malattia che colpisce le donne giovani (<20 a.) e primigravide, sebbene la mortalità sia maggiore nelle pazienti più anziane. Una precedente gravidanza complicata da preeclampsia-eclampsia rappresenta il fattore di rischio più elevato che infatti ricorre in una seconda gravidanza nel 47%. Queste pazienti spesso sviluppano frequentemente una ipertensione cronica. Questa patologia predispone la gravidanza al distacco di placenta, al parto prematuro, ad una incrementata mortalità perinatale ed anche materna. Le cause di mortalità materna secondarie all'eclampsia sono rappresentate da:
eventi cerebrovascolari (60-72%)
insufficienza respiratoria (12%)
emorragia post-partum (6%)
HELLP syndrome (4%)
CID (4%)
IRA (1%)
IC (0.5%)
La preeclampsia è caratterizzata dalla comparsa, dopo la 20a settimana di gestazione ( ma può esordire anche immediatamente dopo il parto), di ipertensione ( Pa >140/90) associata generalmente a proteinuria (> 300mg/l) ed edema generalizzato. La comparsa di convulsioni (si parla allora di eclampsia) aggrava il quadro clinico ed eleva la mortalità materno-fetale di tale patologia. La preeclampsia può essere di grado moderato o severo. Il grado severo implica una ipertensione severa (Pa 160/110) a riposo, un danno renale (proteinuria > 4gr/24h. o oliguria), anomalie della vista, cefalea o altre manifestazioni cerebrali, dolore epigastrico, segni di edema polmonare e la comparsa di una HELLP syndrome (emolisi, ipertransaminasemia, ipopiastrinemia).
Fisiopatologia
L'ischemia placentare, qualunque ne sia la causa (lesione vascolare o lesione immunitaria), sarebbe la causa della malattia (21). Le lesioni ischemiche e gli infarti placentari spiegano infatti le complicanze ostetriche della malattia (ematoma retroplacentare) ed il ritardo dell'accrescimento fetale o la morte intrauterina fetale. L'ischemia placentare provocherebbe uno squilibrio tra la produzione delle sostanze vasodilatatrici (NO, PGE, PGI2) che verrebbe inibita e l'incremento nel rilascio di sostanze vasocostrittori come il trombossano e la fibronectina che facilitano l'aggregazione piastrinica. Si avrebbe così una vasocostrizione generalizzata che produrrebbe ipertensione, riduzione della filtrazione glomerulare ed un aumento del riassorbimento del sodio e dell'acqua (iperaldosteronismo) e dunque la triade descritta in precedenza.
Sistema cardiorespiratorio
E' stato evidenziato che le pazienti che diventeranno preclamptiche sviluppano precocemente (12-14 sett.) una elevazione della gittata cardiaca (22). Questa iperperfusione potrebbe essere la causa del danno endoteliale che sta alla base della malattia. Normalmente si riscontra, in uno stato avanzato di malattia la coesistenza di uno stato ipercinetico con aumento del lavoro ventricolare sinistro, un aumento delle resistenze vascolari ed una riduzione del volume circolante. Questa ipovolemia plasmatica coesiste con gli edemi periferici e peggiora con un Ý della proteinuria. L'ipovolemia, che si riflette sulla PCWP che si mantiene normale o bassa, non contribuisce all'adattamento del ventricolo sinistro al postcarico elevato e può ulteriormente aggravare la vasocostrizione. La forza contrattile del miocardio si mantiene normale per lungo tempo ma la defaillance acuta è una possibilità sempre presente e l'edema polmonare acuto è frequente (3%) con una mortalità associata del 10%. Questa complicanza testimonia la gravità dell'affezione ed è frequentemente associata ad altre lesioni (CID 49%, sepsi 46%, ematoma retroplacentare 32%). L'edema si presenta spesso nel post-partum quando la redistribuzione dei liquidi dai compartimenti rappresenta un fattore favorente. I meccanismi dell'edema polmonare non sono univoci. Quasi sempre è causato da una insufficienza cardiaca secondaria ad un post-carico aumentato ulteriormente da una espansione volemica eccessiva ma una componente lesionale è frequentemente presente in ragione della riduzione della pressione oncotica e dell'aumento della permeabilità capillare. In questo caso l'affezione corrisponde ad un ARDS spesso aggravata da complicanze infettive e coagulative.
SNC
Qualche grado di edema tissutale del SNC spiega la cefalea, i disturbi visivi e l'irritabilità che qualche volta sono presenti nella malattia. L'incidenza delle convulsioni è piuttosto bassa ma aggrava drammaticamente il quadro clinico. E' inoltre incrementato il rischio di emorragia cerebrale che può essere di tipo petecchiale o assumere la forma di vasti ematomi. La fisiopatologia delle turbe neurologiche è complessa. Da un lato le lesioni endoteliali vascolari e le anomalie piastriniche determinano una trombosi dei vasi corticali ed uno stravaso interstiziale. Dall'altro l'ipertensione vascolare determina una ipertensione intracranica che accentua le lesioni ischemiche prodotte dalle microtrombosi.
HELLP syndrome
La testimonianza più evidente della sofferenza viscerale nel corso del III° trimestre è l'HELLP syndrome (Hemolys, Elevated Liver enzymes, Low Platelets count)(23). Questa sindrome è un indice di gravità della malattia (4-24% di mortalità materna con 10-15% di mortalità fetale) e le sue manifestazioni cliniche sono testimonianza della microangiopatia tipica della malattia gestosica. L'emolisi è legata al passaggio delle emazie nei vasi di piccolo calibro portatori di lesioni intimali e di depositi di fibrina. L'elevazione delle transaminasi e della bilirubina diretta corrisponde alla necrosi periportale e alla colestasi intraepatica causata dal deposito fibrinoso nei sinusoidi. La trombopenia è il risultato sia del consumo che di una accresciuta distruzione periferica. L'HELLP complica il 10% delle forme gravi di preeclampsia e può comparire (31%) nei 6 giorni che seguono il parto. Sono quasi sempre costanti il dolore all'ipocondrio dx (90%) , gli edemi periferici ed un incremento ponderale brusco mentre l'ipertensione è assente o moderata nella metà dei casi. Il parto rappresenta la migliore terapia se la paziente ha raggiunto almeno la 32a settimana. Il controllo della pressione deve essere rigoroso perchè il rischio di emorragia cerebrale o retroplacentare è molto elevato. Se è necessario prolungare la gravidanza è necessario un monitoraggio emodinamico cruento (spesso in UTIR) per poter effettuare una buona espansione volemica e nel contempo praticare un trattamento con vasodilatatori. La recidiva è costante!.
Unità feto-placentare
La riduzione delle prostaglandine prodotte nell'utero contribuisce ai fenomeni vasospastici dei vasi uterini. Le catecolamine materne possono indurre una reazione vasospastica esagerata. L'analgesia peridurale continua durante il travaglio decresce il livello di catecolamine stress-indotte e ha un effetto benefico sul flusso utero-placentare.
Prevenzione-trattamento della preeclampsia-eclampsia
I salicilati possono modificare il corso o prevenire la preeclampsia. Basse dosi di aspirina (100mg/die) decrescono l'incidenza di preeclampsia (23%->3%) in donne a 28 sett. ad alto rischio di sviluppare la malattia. Nel gruppo trattato diminuisce il rapporto trombossano/prostacicline.
Nelle forme moderate di preeclampsia o comunque di ipertensione il trattamento è sempre progressivo e comincia innanzitutto con il riposo a letto in decubito laterale sn per alcune ore al giorno. Il trattamento antipertensivo viene eventualmente iniziato con l' alfametildopa (Aldomet) a dosi di 500-1500mg/die, oppure con l'idralazina (Nepresol) che viene spesso associata ad un ß-bloccante (atenololo, labetalolo, pindololo) per trattare la tachicardia riflessa. Più recentemente è entrato in uso l'impiego di Ca++antagonisti e soprattutto della nifedipina (Nifedicor-Adalat) che avrebbe un ottimo effetto emodinamico migliorando il circolo placentare.
Nelle forme più gravi è necessario il ricovero in una unità di terapia intensiva dove sarà necessario un monitoraggio emodinamico cruento (Pa, PAP) e un trattamento antipertensivo intenso con vasodilatatori (nitroglicerina,nitroprussiato) che sarà comunque sempre preceduto da una espansione volemica (albumina-gelatine) per evitare una sofferenza fetale acuta da ipoperfusione utero-placentare secondaria all'ipotensione arteriosa. Nei casi di coagulopatia severa è indicata la somministrazione di plasma fresco associata alla aprotinina ed eventualmente di piastrine.
Il trattamento delle convulsioni (eclampsia) si effettua con il Diazepam i.v. 0.2-0.4 mg/kg seguita da una infusione continua di fenitoina (1mg/kg/hr x 12 hr).Nel frattempo la paziente viene sottoposta a TC urgente, che costituisce il trattamento definitivo dell'eclampsia, tenendo sotto controllo la PA con vasodilatatori + betabloccanti. Nella maggior parte dei casi il miglioramento neurologico è rapido dopo la nascita del bambino ma può persistere uno stato di coma per 4-6 ore nel 10-12% dei casi che è legato ad un edema cerebrale (TAC) tanto più esteso quanto maggiore è stata la durata delle convulsioni.
Management anestesiologico
Con un'adeguata espansione
vascolare e la prevenzione della sindrome della vena cava
l'analgesia peridurale rappresenta una metodica di analgesia
e di anestesia di scelta (se non sono presenti alterazioni
emocoagulative) migliorando il flusso sanguigno intervilloso
(tab.5). L'AS non è controindicata nel TC ma il rischio di
ipotensione severa impone delle misure di prevenzione (Emagel,
Dobutamina) e di monitoraggio più scrupolosi che nel caso
dell'AP. In ogni caso è conveniente avere un monitoraggio
cruento della Pa e preparare una infusione di dobutamina.
Nel caso di AG il momento più a rischio è quello che segue
l'intubazione per la possibilità di crisi ipertensive per
cui occorre utilizzare degli antipertensivi rapidi e di breve
durata (Visken, Uraprene,Venitrin).
E' importante seguire la diuresi soprattutto
nell'immediato periodo post-operatorio periodo nel quale
avviene uno spostamento significativo di liquidi verso il
torrente ematico (pericolo di edema polmonare). Evitare
l'uso del Methergin, che sarà sostituito dal Syntocinon a
piccoli boli se non è sufficiente l'infusione.
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